mercoledì 23 giugno 2010

La voce dei grandi

Tonando sul tema trattato nel post di ieri della dicotomia arte/cucina vorrei riportare un testo che mi è capitato di scrivere recentemente riguardo l'argomento.

Per meglio esprimere una visione chiara e globale ho perciò ritenuto importante apportare il pensiero di tre grandi portabandiera dell’arte culinaria italiana.
Ho incontrato lo chef Gualtiero Marchesi, considerato il fondatore della Nuova Cucina Italiana, lo chef Luigi Ugolini, presidente nazionale dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, e lo chef Luca Marchini, nuovo nome sulla scena dell’alta ristorazione.
Avere l’occasione di riportare i pensieri di tre figure di così alto profilo è un’opportunità che dona sincera emozione. E’ l’occasione, non solo per conoscere ed avere un rapporto interpersonale con facce che si è abituati a vedere in foto di giornali o in quelle di pagine web, ma per relazionarcisi più profondamente su un tema di interesse comune, la cucina. Si ha la possibilità di cercare, nascosta ma pregnante nel discorso, la personalità dell’intervistato. Si può interpretare, dopo il poco tempo passato insieme, non solo ciò che emerge dalle frasi che sono state scambiate ma il succo intrinseco e profondo che ognuno di essi incarna. Si può quindi azzardare di evincere lo stile, la visione, l’ordine e il metodo con cui ognuno di essi porta avanti il proprio lavoro.

Gualtiero Marchesi
L’intervista con Gualtiero Marchesi si è svolta per via telefonica, vista la molteplicità di impegni dello chef; quindi le domande sono state brevi e concise ma comunque molto mirate e significative.
D: Signor Marchesi, cosa ne pensa del rapporto arte/cucina?
R: Quello che io dico sempre è che la cucina è di per se una scienza, è il cuoco che la trasforma in arte (questa frase compare anche nella prima pagina del menù del suo ristorante “il Marchesino”, n.d.r.). In tutti i mestieri si prova a fare arte, ma molti fanno semplice artigianato, l’arte è un’altra cosa. L’arte è data dalla cultura. Bela Bartok dice che “l’improvvisazione presuppone la conoscenza della materia”.
D: Ho sentito molto parlare del suo tributo a Pollock,il “Dripping di Pesce”… R: Esatto, proprio un piatto del genere è la riprova di ciò che ti ho appena detto. Ma è solo un’espressione dell’arte, è una composizione. Un altro esempio: nel menu nel mio ristorante ci sono quattro tagli di carne interi, basta sapere come tagliarli per elevarli a piatto artistico, e questa è una scomposizione. Senza questa competenza probabilmente sarebbe solo un buon pezzo di carne, ma brutto. Figurati che mia figlia (artista anche lei, n.d.r.) ha raccolto in un’escursione una corteccia che già di per sé è una cosa bellissima, è arte della natura; ciò che ha fatto mia figlia è stato semplicemente contestualizzarlo in una cornice e, secondo me, è proprio in quest’ operazione che risiede il salto di qualità.
D: Un cuoco può essere quindi paragonato ad un artista, ad un pittore?
R: Un cuoco è certo un artista, la sua arte deriva dalla cultura, dall’intuito e dal saper applicare le innovazioni alla materia.. Mi diceva Ernesto Illy (scomparso l’anno scorso, n.d.r.): “I cuochi sono i chimici dell’intuizione”.

Luigi Ugolini
Per incontrare Luigi Ugolini mi sono recato presso il suo ristorante Perlage nel centro storico della città di Pistoia. L’ambiente è molto intimo e raffinato e dalle poche sedie del suo locale viene evocata un’atmosfera elegante riservata, ma al contempo calda, accogliente e famigliare come nella migliore tradizione toscana. Il legame con la storia ed il territorio è vivo anche grazie ad una enorme vetrata che si affaccia sul ciottolato del centro, ma, allo stesso tempo, si avverte anche una sottile attenzione nei confronti della modernità, come evocato da uno schermo al plasma nella sala e dalle preziose stoviglie di design contemporaneo che vestono la tavola. Sulla soglia del ristorante l’Ugolini mi accoglie con un abbraccio.
D: Qual è la sua opinione a proposito delle nuove tendenze artistiche in cucina?
R: Credo che la Nouvelle Cuisine, nella più radicale espressione del termine, o la cucina destrutturata, salvo i pochisimi luoghi in cui è preparata con coscienza, siano cose passeggere, tendenze destinate a non dominare la scena. La ricerca esagerata è una forzatura, come è una forzatura la proposta di certi piatti come il wagyu (manzo giapponese, n.d.r.), per il rapporto qualità/prezzo; razze toscane come la chinina, su cui sono state fatte approfondite ricerche e selezioni genetiche, hanno paragonabile qualità ma a prezzi decimati, per esempio.
Ciò che è importante, che rende la cucina arte, è la scelta della qualità del prodotto ed il saperlo maneggiare. Il vero artista di cucina è per me quello che fa il progetto di un piatto, dal primo pensiero alla realizzazione del prodotto finale, includendovi estetica e conoscenza di ciò che viene proposto dentro ed intorno al piatto. Per offrire una cucina artistica è necessario costruire un piatto con i giusti alimenti, il rispetto della naturale stagionalità, dimensioni e volume, policromia e contrasti. Un piatto deve trasmettere emozioni. Non credo nell’uso della chimica in cucina, i fornelli non hanno bisogno di chimici ma di cuochi che conoscano ciò che fanno.
D: Verso che direzione pensa si muoverà allora lo sviluppo della cucina?
R:Premetto che ho 62 anni e il mio punto di vista è parziale su certe cose.
La vera cucina, come lo era una volta quella delle nonne, si è trasformata, con il boom economico e il ridotto tempo disponile da dedicare ai pasti consumati a casa, nella cucina ristorativa. E’ però quella gastronomia espressa dalle realtà di livello alto ma non esclusivo; è quella che si ritrova nei moltissimi ristoranti che applicano le forme di cui prima parlavamo ma non quella offerta da quei ristoranti la cui arte è fruibile da una ristretta cerchia facoltosa. Quelle sono tendenze.
In quanti posti in Italia le si possono gustare? Quante persone possono fruire di quel tipo di cucina?
Il futuro lo vedo nella ricerca sulla qualità degli alimenti, nella ricerca sulle nuove tecnologie e sulla progettazione del piatto –frutto solo di capacità tecnica e fantasia del cuoco. Il pubblico lo richiede; la filiera km zero ha avuto un boom in quest’epoca globalizzata. Non è forse evidente?

Luca Marchini
Ho incontrato Luca Marchini presso il suo ristorante, in un bell’angolo del centro di Modena a ridosso della Facoltà di economia. Il locale è arredato con gusto, all’ingresso vi è una finestra che da sulla cucina da cui si nota a colpo d’occhio evidente pulizia e ordine. Lo chef mi ha fatto accomodare in una stanzetta riservata di un colore caldo tra l’arancione e il giallo che trasmette confortevolezza agio. Nella stanza l’attenzione è richiamata da un grande quadro ad acquerello.
D: Signor Marchini, che cosa ne pensa del rapporto tra arte e cucina?
R: Oggi la cucina è ancora pura alimentazione. Se la si vuole trasformare in arte c’è la necessità di un pensiero a monte, una lettura essenziale di sensazioni attraverso la cucina. Io quando scrivo una ricetta cerco di codificare delle sensazioni che vorrei trasmettere. Le mie ricette devono trasmettere le mie emozioni.
D: Per lei dunque un cuoco è un artista?
R: No. Vedi, quel quadro (dice riferendosi al quadro prima menzionato, n.d.r.) è stato dipinto da Giuliano Della Casa, lui è un’artista, un cuoco non è un’artista, è un artigiano. Un artigiano produce molte opere, e ogni tanto una è un’ opera d’arte. Io in un menù di degustazione medio di otto portate, come quello che offro qui nel mio ristorante, non posso trasmettere le emozioni o il mio messaggio in ognuna delle ricette che lo compongono. Un prodotto si deve conoscere e applicargli la tecnica migliore per ottenere il risultato migliore. E l’evoluzione tecnica, se c’è ben venga. Quindi ciò che trasforma un piatto in un’ opera sono scienza, cultura e soggettività ed inoltre la conoscenza deriva anche dal rispetto verso l’opinione delle persone che si siedono a tavola, se cioè l’ospite non mangia solo con la pancia ma anche con la testa.

Il diverso schieramento tra chi incita il progresso e l’innovazione e chi lo respinge è evidente; d’altra parte già dal tipo di comunicazione che mi ha permesso di mettermi in contatto con le tre personalità in questione si poteva evincere qualche ipotesi. Il grande Marchesi, per esempio, proiettato verso il futuro della cucina, ha preferito concedermi un po’del suo tempo per mezzo di un’intervista telefonica. Non sono stati necessari spostamenti fisici, la chiacchierata è stata molto rapida, anche se mirata, pertanto ha portato notevoli vantaggi ad entrambi. Dall’altro lato, però, non ho avuto l’occasione del confronto faccia a faccia e dunque di un approfondimento più personale. Al contrario Ugolini mi ha invitato nel suo ristorante ed ha scelto un confronto diretto, come si faceva una volta, in modo familiare ed amichevole e mi ha anche invitato a pranzo mettendo davanti a tutto il suo calore.

...e voi cosa ne pensate?

1 commento: