martedì 29 giugno 2010

storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - Medioevo

Durante il primo periodo, immediatamente dopo la caduta di Roma, si persero le abitudini e le conoscenze agricole precedenti. Elemento principale per l’alimentazione torna ad essere il bosco dove si praticavano la caccia e la raccolta. Inoltre con l’arrivo di nuove popolazioni si perde il patrimonio alimentare e nutrizionale, anche se le vecchie tradizioni diffuse ovunque dai romani sostanzialmente permangono, aggiungendosi agli usi e costumi dei nuovi arrivati.

Le classi guerriere e nobiliari si cibavano, prevalentemente, di animali di grossa taglia, quali il cervo, il cinghiale, il daino e il capriolo, come previsto anche dall’Editto di Rotari.
Le migliori cucine si trovano nelle residenze dei nuovi potenti (per esempio a Ravenna con Teodorico e Cassiodoro), ma anche in diversi vescovadi e nei monasteri benedettini che si espandono a macchia d’olio in tutta Italia nei cui recinti e terre si coltivano vite, ulivo, alberi da frutto, frumento, ortaggi e si allevano animali: pollame, anatre, oche, piccioni, ovini, suini e bovini –questi ultimi per il lavoro nei campi e per burro, formaggio e ricotta.
Grande risorsa era la castagna, consumata in zuppe e castagnacci –rimasti ad oggi nelle tradizioni culinarie appenniniche. Un’importante fonte di cibo era data dalla pesca, soprattutto d’acqua dolce, infatti, in detto periodo, le coste si spopolarono a causa delle incursioni dei pirati saraceni.
Ma intorno all’Anno Mille, in seguito al miglioramento delle condizioni di vita, conseguente all’avvento del Sacro Romano Impero ed alle leggi che Carlo Magno promulgò per organizzare la produzione di fattorie e feudi, vi fu un largo ritorno alla coltivazione con la nuova adozione di strumenti innovativi –aratro con vomere in ferro e imbracatura per le bestie da tiro.

Nello stesso periodo si ha in Italia un’evoluzione della cucina con una connotazione più netta delle varie tradizioni, ricette e abitudini alimentari regionali e di zona.
In questo periodo affinano la loro tipicità in particolare le cucine di Roma, Venezia, Genova, e poi Napoli, Milano, Firenze e Palermo –forse anche in funzione della notevole mole di documenti che lo certificano rispetto a quella molto più esigua, se non assente, rinvenuta nelle zone non urbane e di campagna, meno istruite e più interessate all’aspetto funzionale del cibo.
In questo periodo storico la cucina dei ricchi, pur diversa da regione a regione, è caratterizzata da grandi spiedi, dal miscuglio del dolce e del salato, da un’eccessiva presenza di erbe e spezie e da una mescolanza nei banchetti di carne e pesce.

Tra gli avvenimenti storici che più influenzano l’evoluzione della cucina sicuramente le Crociate -1096/1270- si distinguono. Sono infatti responsabili dell’arrivo, nei porti italiani, di sconosciuti prodotti: nuove spezie, zucchero, riso; ma un fattore forse più rilevante degli altri dal punto di vista antropologico è il maggior benessere ottenuto dal patriziato e dalla nascente borghesia cittadina che si arricchiscono, specie nelle città marinare e nei grandi porti e centri del nord, con le nuove possibilità offerte dal commercio.
Grazie dunque a maggiori disponibilità economiche migliora e si affina anche l’alimentazione, aumenta l’assortimento di frutta e ortaggi sui banchi dei mercati: si registra abbondanza di mele, fichi, uva, prugne, castagne, melograno, melone, albicocche, ciliegie, cotogne e pesche.
Vi è un notevole sviluppo anche nelle coltivazioni di frumento che permettono maggior presenza nelle case di pasta e pane. Il formaggio è a disposizione di tutti e, col XII° secolo, fanno il loro ingresso sulle tavole le primitive versioni del parmigiano e del montasio. Si trovano facilmente arringhe salate, gamberi di fiume, anguille, trote, ecc…

A partire dal 1200, nei liberi Comuni del centro-nord, situati all’incrocio delle strade commerciali più importanti, nonché centri dei grandi mercati, troviamo una grande abbondanza alimentare, che aumenterà come sopra detto al termine delle crociate, con le importazioni dall’oriente delle grandi navi dei genovesi, dei pisani e dei veneziani.
Le città, anche se attingevano molto dalle produzioni delle campagne circostanti, erano strutturate per aver un minimo di autosufficienza alimentare: la maggior parte delle case possedeva un pollaio con conigliera, un orto, mentre oche e maiali, lasciati liberi, fungevano da spazzini.
L’alimentazione si basava sulla carne degli animali allevati, su pani e focacce –anche farcite di frutta- su formaggi ovini, vino frutta fresca e secca. Il grasso utilizzato per la cucina era prevalentemente quello di maiale, il cui allevamento continuava a costituire la prima fonte alimentare nelle campagne e la cui tradizioni è arrivata fino ai giorni nostri (è rituale l’uccisione del maiale a dicembre). L’olio d’oliva, raro e prezioso, a causa delle difficoltà nella coltivazione della pianta, era riservato a scopi terapeutici e religiosi.

I monaci con le loro attività di disbosco, coltivazione, allevamento, organizzazione di mercati e la manutenzione di strade, ponti e corsi d’acqua, diedero, in questo periodo storico, un forte impulso all’agricoltura, al commercio e all’economia.
Dall’anno 1300, con l’indizione dell’anno santo voluto da Papa Bonifacio VIII°, si assiste ad una crescente mobilitazione di pellegrini. I monaci benedettini, camaldolesi e cistercensi organizzarono la “ristorazione” dei pellegrini con un sistema capillare di locali d’accoglienza e spedali, ove già non vi fossero monasteri.
Sono stati rintracciati prontuari di diversi luoghi d’accoglienza, nel quale erano annotate le regole da seguire per il ristoro di pellegrini sani o malati: da questo si hanno indicazioni abbastanza chiare sulla cucina popolare del periodo in questione, che consisteva di zuppe di cereali e verdure, pane, formaggio, frutta fresca e secca e carne, principalmente ovina, anche se tendenzialmente molto rara.
Importantissimo il vino, ritenuto medicamentoso e indispensabile in un periodo in cui le sorgenti ed i corsi d’acqua erano spesso inquinate ed infettate.

Il valore medicamentoso degli alimenti e delle bevande è una delle preoccupazioni maggiori dell’epoca. Ciò ci viene attestato per esempio dal “Libro di casa Cerreti”, traduzione trecentesca di un precedente “Tacuinum Sanitatis in medicina”, desunto dalle pratiche mediche arabo-greche della Scuola Medica Salernitana, la più accreditata del periodo.
La salute è ideologicamente intesa come la risultante di un equilibrio ben preciso che si mantiene con l’uso e la combinazione particolare dei cibi e delle bevande.

Molto importante era stata la dominazione araba in Sicilia (dal VII° al X°secolo) con un notevole apporto di conoscenze scientifiche ed alimenti appartenenti alla cultura di questa popolazione: primo tra tutti lo zucchero di canna. Da qui deriva la tradizione di sciroppi e sorbetti –parole di origine araba- e pasta di marzapane. Inoltre gli arabi impiantarono coltivazioni d’agrumi, peperoni, melanzane e gelsi. Rintrodussero poi l’importazione e l’uso delle spezie, specialmente chiodi di garofano.

Il Medioevo è però stato avaro di documentazione in merito all’alimentazione che le diverse popolazioni seguivano. Tuttavia emergono alcune utili notizie oltre che da storici e scrittori (Paolo Diacono, Cronaca Novalesa, Eginardo, Liutprando di Cremona, Salimbene di Parma, Bonvesin de la Riva, G.B. Ramusio, Giovanni Boccaccio, Francesco Sacchetti, Alvise di Cà da Mosto, Michele Savonarola, ecc…) da uomini di chiesa ( S.Gregorio Magno, ecc…) appunto grazie alle vivaci attività dei monasteri che in quegli anni bui si impegnarono a tenere vive le arti e la cultura sotto molteplici aspetti.
Sulla fine del periodo vengono comunque redatti due importanti ricettari, tornati alla luce nell’ ‘800, attribuiti ad autori anonimi, uno toscano ed un veneziano, molto interessanti. Dipingono la ricchezza della cucina borghese e la gran varietà di piatti preparati, mentre, seguendo un copione già visto, la cucina popolare resta nell’ombra e deve accontentarsi quasi sempre di ciò che offre la natura.

Nel Basso Medioevo assume notevole importanza la lavorazione della pasta, destinata ad essere essiccata e conservata, nonchè dei ravioli. Entrambe le preparazioni erano cotte nel brodo, scolati e conditi col burro, formaggio, zucchero e cannella.
La lavorazione e il processo di produzione del Parmigiano assume importanza proprio in questo periodo.
La più illustre documentazione dell’epoca la ritroviamo tra le pagine del Decamerone di Giovanni Boccaccio; una raccolta di novelle del celebre scrittore toscano vissuto a cavallo del 1300, che ci descrive la ricetta sopra citata per pasta e ravioli in un brano del quale parla del famoso paese di Cuccagna ove si legano cani con le salsicce.
Alla fine del XIV° secolo, la cucina nobiliare comincia a distinguersi da quella popolare per due motivi: anzitutto, l’abitudini nelle corti della caccia col falcone, il passatempo più “chic” di dame e cavalieri, porta a preferire come cibo i volatili, perché –vivendo nel cielo- ritenuti gli animali di grado più elevato e quindi adatti agli uomini di alto rango; inoltre, lo zucchero, alimento molto costoso, diventa uno “status symbol”.
Esemplificativo, è l’episodio avvenuto nel 1468, in occasione delle nozze tra Lorenzo de’ Medici –il Magnifico- con Clarice Orini, nipote del Papa: per gli invitati importanti venne allestito un buffet tutto a base di dolci, confetture, marzapane, frutta candita e prodotti d’importazione. Per il popolo furono invece preparate grandi grigliate di carne di tutti i generi, ma sempre di animali di grande taglia.

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storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - epoca romana

I romani possono essere, a ragione, considerati i primi veri gastronomi, dato che la loro civiltà attribuì grandissima importanza alla cucina, soprattutto in periodo regio ed imperiale. L’alimentazione, comunque molto semplice, si basava su farro, grano, orzo, ceci, fave, pecorino (caseum), carne ovina, miele, uova, aglio, cipolla, aceto, lenticchie, porri, cavoli e cicoria. Venivano preparate zuppe e polente (pultes) con i cereali che vi erano a disposizione. Organizzarono allevamenti di lepri, fagiani, faraone, quaglie e pavoni, e grandi piscinae, ovvero vasche dove venivano allevate, principalmente orate e murene. Un animale verso il quale era portata una notevole cura ed apprensione d’allevamento era l’oca, col cui fegato si preparavano i “pasticci”, antenati dei più famosi francesi “pates de fois gras”.
Molto amati erano il vino, il pane ed il pesce –d’acqua dolce e di mare-. Il vino era consumato anche nel rituale della divinità ad esso preposta, il Dioniso. Il sale era prezioso per la conservazione e la manifestazione di tale valore è il compenso dato ai legionari, appunto in sale –salarium.
Avevano l’abitudine di usare come piatti focacce non lievitate (mensae).

Con la conquista dei territori nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, importarono numerosi cibi prima non presenti nella dieta: galline, faraone e struzzi dal Nord Africa; tartufi, fagiani, miele e frutta secca, dalla Grecia; prosciutti, formaggi, funghi e ostriche dalla Gallia; pesche e asparagi dalla Persia; ciliegie e meloni dal Mar Nero.
Burro, birra (cervogia) e idromele (acqua e miele fermentati) erano ritenuti alimenti da “barbari” e quindi mancanti di una propria storia e cultura alimentare.
Dopo la conquista dell’Arabia, abbiamo menzione in alcuni documenti di una bevanda preparata con semi tostati e tritati di una pianta non meglio identificata (“potio calida ex arabis fabulis tostis tritis”): con tutta probabilità si trattava di un antenato del caffè, successivamente dimenticato per molti secoli. Inoltre dall’oriente, attraverso le piste carovaniere, arrivarono a Roma le ricercatissime spezie (pepe, coriandolo, cannella, ginger, ecc…).
Praticamente sconosciuto era lo zucchero, sostituito dal miele e da uno sciroppo dolce ricavato dall’uva; molto usati erano finocchio selvatico, cumino, senape, zafferano, timo e bacche di mirto.

Il primo testo di cucina vera e propria è il “De Arte Culinaria”, attribuito a Celio Apicio e da considerarsi una vera e propria pietra miliare.
E’ interessante anche che, eruditi famosi come Marco Porcio Catone, Orazio Flacco, Virgilio e Columella abbiano lasciato appunti riguardanti conservazione e preparazione delle pietanze.
Sulla base di questa antologia si evince che nel periodo imperiale a Roma esisteva una cucina ricca e raffinata, insaporita da molte salse, ma il popolo poteva contare quasi esclusivamente su pane, formaggio, erbe, ortaggi e poco altro.
Il pensiero comune romano in campo culinario è quello secondo cui l’arte del cuoco stia nel contraffare e travestire gli alimenti per mezzo di spezie e sapori –ritenuti preziosi e rari e che quindi attribuiscono ricchezza al piatto conferendogli valore aggiunto: “Cavare un pesce da una vulva, un piccione da un pezzo di lardo, una tortora da un prosciutto ed una gallina da un culatello”, scrive Petronio Arbitro nel Satyricon.

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lunedì 28 giugno 2010

esame "Linguaggio del giornalismo"

Ciao colleghi,
vi scrivo per chiedervi aiuto.
Il 18 giugno si è tenuto il primo appello di "Informatica applicata al giornalismo" e di "Linguaggio del giornalismo". Non mi sono iscritto perchè avevo intenzione di andare ad ascoltare gli orali per farmi un'idea più lucida del tipo di esame per poi sostenerlo all'appello successivo.

L'esame di informatica, che iniziava alle 12, si svolgeva con una modalità molto interessante, si partiva dal commento del blog dell'esaminato per poi andare a spaziare in una conversazione che toccava alcuni dei temi trattati a lezione decisi dal prof o che si ricollegano a qualcosa presente nel blog personale.

Il problema per cui vi scrivo si è invece presentato alle 15, nel momento in cui sono salito verso l'ufficio del prof Tarantino, dove si teneva il secondo esame della giornata. L'esame si svolgeva uno alla volta e a porta chiusa, motivo per cui non ho potuto avere nessun tipo di informazione sulle modalità di svolgimento.

Per questo ho deciso di pubblicare un post, per chiedervi un aiuto, un'indicazione o delle domande sull'esame di Linguaggio del giornalismo.

grazie 1000, eugenio

bibliografia e sitografia

di seguito bibliografia e sitografia di riferimento ai post pubblicati:

riferimenti bibliografici:

Abraham Maslow, Motivation and personality, New York 1970, Harper and Row ed
Ave Appiano, Bello da mangiare, Roma 2000, Meltemi editore
C. Chavich, “The globe and mail” (14 maggio 2008)
Cesare Marchi, Quando siamo a tavola, Milano 1990, Rizzoli ed.
Davide Dalloco, Luca Ascari, Emanuela Dilani, Dispensa di tecnica di cucina, Serramazzoni 2000, edizioni Scuola Regionale Alberghiera di Ristorazione di Serramazzoni
Francesca Pellegrini, Il rapporto fisico e simbolico con il cibo, Modena 1997 Saddai ed.
G. Di Luca, “Annali di San Michele” numero XIX, (2006) Bilinguismo Sensoriale, pagg. 401-405
Hervé This, Pentole e provette, Roma 2003, Gambero rosso ed.
Jurgen Bolz, Kochkunst in bildern n.7, Stuttgart 2005, Matthaes Verlag GmbH ed
Luca Mariani, Agata Parisella, Giovanni Trapani, La pittura in cucina, Palermo 2003, Sellerio ed.
Luca Vercelloni, Viaggio intorno al gusto, Milano 2005, Associazione culturale Mimesis ed
Luigi Russo, Il gusto, Palermo 2000, Aesthetica ed
Marvin Harris, Buono da mangiare, Torino 1990, Giulio Einaudi Editore
Massimo Montanari, La fame e l’abbondanza, Roma-Bari1997, Editori Laterza
Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Bari 2004, Editori Laterza
Massimo Montanari, Alberto Capatti, La cucina italiana, Bari 2005, Editori Laterza
P. Bourdieu, la Distinction, Parigi 1979, Minuit ed
Pablo Picasso, L’intransigent, dialogo con E.Téraide, 1932
Paolo Gentili, Tecnologia di cucina e pratica operativa, Bologna 1995,Edizioni Calderini
Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Torino 1970, Einaudi ed.
Rachel Dixon, “The Guardian”, Nibbles, (23 ottobre 2008) What are the culinary Olympics?
Rudolf Arnheim, Parabola della luce solare, Roma 1992, Editori Riuniti
“Scienze Gastronomiche” numero I, (2007) pagg. 68-75
“Scienze Gastronomiche” numero II, (2007) pagg. 14-19
Thomas Reid, Essays on the intellectual powers of man, 1788
W. Berry, La resurrezione della rosa, Bra 2006, Slow Food ed.

riferimenti sitografici:

APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani). http://www.cucinaprofessionale.it/
Arte culinaria. www.wikipedia.org/art_culinaire
Culinary World Masters. http://www.igeho.ch/
Culinary International Cup IKKA. www.vko.at
FIC (Federazione Italiana Cuochi). http://www.fic.it/
NIC (Nazionale Italiana Cuochi). http://www.nazionaleitalianacuochi.it/
WACS (World Association of Chef Society). http://www.wacs2000.org/
Zafferano (rivista di settore bilingue). http://www.zafferano.org/

storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - periodo preromanico

I popoli primitivi si nutrivano con quanto la natura aveva loro da offrire: erbe e radici, frutta, semi di cereali, uova, miele, pesce, carne di animali selvatici, chiocciole, rane, ecc…
La raccolta, la caccia e la pesca sono state per millenni le forme di approvvigionamento alimentare che consentirono il nascere di una cucina dalla quale erbe di prato e di monte, pesca e selvaggina non sono più usciti.
Successivamente, con l’avvento della pastorizia, abbondano latte e carne e l’alimentazione diventa più ricca e varia.
La tappa successiva vede lo sviluppo dell’agricoltura, in particolare della cerealicoltura, con l’inserimento del pane nelle dieta.
Nel corso di queste epoche si scoprirono e si imparò ad usufruire dei fenomini della fermentazione e della lievitazione, scoperti presumibilmente dalle civiltà medio-orientali e poi diffusesi nell’ Europa centrale e meridionale.
Ruolo importante, forse strutturale, per la costituzione della cucina italiana passata, contemporanea e probabilmente futura, lo ebbe la civiltà etrusca. Presenti tra Emilia Romagna, Toscana e Alto Lazio a partirre dal IX° secolo a.C. influenzarono tutte le culture future presenti in quelle regioni.
Furono i primi a preparare la pasta, tagliandola a grosse strisce, le schiacciate con l’uva, il pane di grano, farro o spelta; allevarono ovini e suini, nonché bovini nell’attuale Maremma –questi ultimi usati come animali da lavoro.

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storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - introduzione

L’analisi della storia della cucina deve partire dallo studio del territorio nelle varie epoche, dalle tecniche di coltivazione e allevamento, nonché dai sistemi di conservazione degli alimenti e degli apporti che, in ogni periodo storico, sono venuti in seguito a scoperte geografiche e scientifiche.
Con la finalità di individuare le epoche significative e gli avvenimenti che hanno influito maggiormente sullo sviluppo della cucina e dell’evoluzione che essa ha subito ma anche provocato nelle società e nella cultura, si può proporre questa suddivisione:

1. periodo preromanico - http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/storia-della-nascita-e-dellevoluzione_28.html
2. epoca romana - http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/storia-della-nascita-e-dellevoluzione_29.html
3. medioevo -
4. età moderna -
5. contemporaneo -

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la cucina

Dopo aver determinato il concetto di gusto in un precedente post(http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/il-gusto.html), è poi necessario connotare il concetto di cucina: delle tecniche di cottura, preparatorie e di servizio delle pietanze che proprio dal gusto ed in base ad esso derivano, si sviluppano e seguono strade da esso dettate.
La cucina si costruisce sul cibo; il cibo è lo strumento che ci permette di mantenerci in vita. E’ il desiderio di continuare a vivere che ci spinge ad immettere alimenti ad a distinguere quali sono i più adatti per rispondere ai nostri bisogni. Nella società diventa poi strumento di scambio, strumento di relazione e a volte motivo di conflitto. Attorno ad esso ed al rituale del cibarsi si costruiscono strutture e sovrastrutture antropologiche, mode, cliché, rivoluzioni. Di conseguenza il cibo diventa simbolo di potere, strumento di manifestazione d’appartenenza sociale. Ad oggi nel mondo sul cibo –o sulla sua assenza- si costruiscono poteri, economie e si combattono guerre.

La cucina è una manifestazione l’evoluzione scientifico-tecnica-culturale umana porti anche ad una sofisticazione del rapporto con la natura: il cibo non è più consumato così come viene prodotto dalla natura. Lo si trasforma trasferendogli cultura.
Fin dagli albori dell'umanità, l'uomo sperimentò la cottura esponendo la carne e altri alimenti direttamente al calore del fuoco: questo rendeva commestibili numerosi cibi altrimenti indigeribili accrescendone il valore nutritivo –anche se questa è una nozione appresa con notevole ritardo.
I metodi di cottura e di preparazione dei cibi si svilupparono poi insieme al progredire della civiltà, ergo della cultura, dell’esperienze, del gusto. Inizialmente si arrostiva la carne sulla fiamma viva, poi sulla brace –che garantiva cottura più uniforme e minor perdita di nutrienti-, infine si sperimentò la cottura in buche, qui la pietanza e le radici, avvolte in foglie, subivano una cottura simile a quella a vapore. I cibi lessati in pietre concave, conchiglie e stomaci di animali sono molto più recenti e anticiparono i recipienti in ceramica. Le polente di cereali tostati e macinati grossolanamente, il pane non lievitato, i primi stufati risalgono al Neolitico inferiore. In questa età si scopri anche il fenomeno della fermentazione, che permetterà la produzione di pane lievitato -originario dell’Egitto- che quella di bevande alcoliche –birra, vino ed idromele.
Con il termine cucina si intende quell'insieme di pratiche e tradizioni legate alla cottura, più in generale alla preparazione, di cibi e bevande. Dette pratiche sono di solito specifiche di una determinata regione geografica, in quanto influenzate dagli ingredienti ivi disponibili, e in alcuni -originario dell’Egitto- casi anche da particolari precetti religiosi. Anche l'uso di determinati accessori per consumare il cibo influisce sulla cucina. La cucina ha, per tutti questi motivi, anche una forte valenza culturale ed è spesso associata all'enologia e alla gastronomia.

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curriculum vitae



Curriculum vitae
___________________________________________________
Dati personali:
nome: Eugenio
cognome: Pellicciari
data di nascita: 21.11.1983
luogo di nascita: Modena
indirizzo: *** ******** **, Modena
telefono: *** ****** / *** *******
email: mailto:eugeen-atwork@email.it
Obbligo di leva: Licenza definitiva dagli obblighi di leva
ottenuta nel luglio 2005. Servizio civile svolto presso
l’ente G.A.V.C.I. – G.V.C. di Modena


Occupazione attuale:
Appena conseguita (luglio 2009) la laurea triennale nella Classe di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Parma, indirizzo di Scienze Gastronomiche.
Collaborazione in essere con la rivista “L'arte in cucina” e con Menù s.r.l. in qualità di chef dimostratore e privatamente con attività di banchettistica e catereing.
Svolgimento di attività di tutor (assistenza) a studenti dell'Istituto di Istruzione Superiore C.Cattaneo per conto della Cooperativa Sociale Gulliver.

Educazione scolastica:
1989/1994 scuole elementari G.Pascoli - Modena
1994/1997 scuole medie inferiori S.Carlo – Modena
1998/2002 scuola tecnica professionale alberghiera e di
ristorazione di Serramazzoni - Serramazzoni (Mo)
2 anni di corso di base con indirizzo cucina
1 anno di corso di specializzazione di cucina Eurhodip
(European Hotel Diploma, riconosciuto a livello
europeo) che include 2 mesi di work experience
all'Hilton Hotel di Londra
1 anno di corso di specializzazione di pasticceria Eurhodip
(European Hotel Diploma, riconosciuto a livello europeo)
2002/2005 Istituto Tecnico Commerciale C.Cattaneo - Modena
voto all’esame di maturità: 75/100
2005/2009 Corso di laurea triennale di scienze gastronomiche, casse di scienze e tecnologie agroalimentari, facoltà di agraria, università di Parma.

Esami sostenuti:
Immagine del cibo nella cultura contemporanea 30/30,
cibo e media (primo modulo cinema, secondo modulo televisione) 30/30
giornalismo eno-gastronomico 30/30,
storia e cultura dell’alimentazione 26/30,
metodologie di degustazione critica 27/30, (docente prof.
lingua inglese,
origine e sviluppo dei sistemi alimentari 30/30,
diritto europeo nel settore dei prodotti tipici 26/30,
analisi sensoriale 29/30,
psicologia delle scelte alimentari 27/30,
fisiologia del gusto 24/30,
alimenti funzionali per la promozione della salute 22/30,
sistemi di controllo e gestione nelle aziende di ristorazione 29/30,
economia aziendale 27/30,
economia dei sistemi qualità nell’agroalimentare e nel territorio rurale 28/30,
marketing e management 26/30,
marketing ristorativo 26/30,
rapporti verticali di filiera nel mercato horeca 24/30,
matematica e statistica 30/30,
fisica 26/30,
chimica 24/30,
chimica organica 28/30,
biologia 18/30,
microbiologia e sviluppo microbico negli alimenti 28/30
biochimica degli alimenti 28/30,olivicoltura e frutticoltura 25/30,
viticoltura 20/30,
enologia 25/30,
prodotti alimentari di origine animale 27/30,
qualità della materia prima dei prodotti e degli imballaggi 26/30,
molecole del gusto 24/30,
trasformazione degli alimenti durante la cottura 27/30,
tecniche di cottura e conservazione degli alimenti 30/30,
tecniche e preparazione di cucina 28/30,
igiene degli alimenti 21/30,
ispezione degli alimenti di origine animale 20/30,
microbiologia dei prodotti tipici 25/30.

Lingue straniere:
Inglese: fluente
linguaggio tecnico di cucina e commerciale
Francese: scolastico
Tedesco: scolastico

Work experience:
1998, stagione estiva al ristorante selfservice RistoPizza,
Spezzano di Fiorano, Mo
incarichi di aiutocuoco
primavera 1999, stage di 6 settimane al ristorante Europa92,
Modena
incarichi di aiutocuoco
1999, stagione estiva alla pasticceria Emiliana, Modena
incarichi di pasticcere
periodo natalizio 1999, ristorante La Capannina, Abetone, Pt
incaricato della partita degli antipasti
primavera 2000, stage di 6 settimane al ristorante Borso d'Este,
Modena
incarichi di aiutocuoco
2000, stagione estiva al ristorante La Capannina, Abetone, Pt
incarichi di cuoco nella partita dei primi piatti
2001, work experience di 2 mesi al ristorante Windows
dell' Hilton Hotel, Londra, UK
incarichi di aiutocuoco
e di 2 settimane al ristorante Tante Claire, Londra, UK
2001, stagione estiva al ristorante selfservice RistoPizza,
Spezzano di Fiorano, Mo
incarichi di cuoco capopartita
primavera 2002, stage di 2 mesi alla pasticceria cioccolateria
San Francesco, Carpi, Mo
incarichi di pasticcere
2002, stagione estiva al ristorante winebar Before & After,
Modena, incarico di chef
autunno/inverno 2002, winebar caffè aperitivi I Picari, Modena
incarichi di chef
primavera 2003, svolgimento di 6 lezioni di cucina di base in
diverse sedi della Lombardia per
il Gruppo Parmalat
incaricho di cuoco insegnante dimostratore
marzo 2003, selfservice Campus, università di Modena
incarichi di cuoco capopartita
rapporto interrotto per urgenze familiari
aprile 2003/luglio 2004, ristorante selfservice RistoPizza,
Spezzano di Fiorano, Mo
incarici di cuoco capopartita
2004/2005, servizi extra periodici:
ristorante selfservice RistoPizza, Mo
winebar caffè aperitivi I Picari, Mo
ristorante Villa Freto, Mo
ristorante selfservice Village 2, Castelfranco, Mo
ristorante agriturismo Marandello, Sorbara, Mo
ristorante La Capannina, Abetone, Pt
2005/2007, servizi di catering, rinfreschi e banchettistica:
Strade dei vini e dei sapori dell’ EmiliaRomagna,
Ricevimenti Muzzarelli, Mo
Buonristoro Group, Mo
Caffè Romeo, Carpi, Mo
Ostaria del Pozzo, Mo
Caffè NE, Carpi, Mo
2007/2008, servizi di catering, rinfreschi e banchettistica:
svolti autonomamente per rinfreschi di privati e piccoli eventi,
Ricevimenti Muzzarelli, Mo
Villa CasinoRiva, Mo
ristorante San Silvestro, Mo
ristorante selfservice RistoPizza, Mo
winebar caffè aperitivi I Picari, Mo
Caffè del Teatro, Carpi, Mo
da agosto 2008, chef dimostratore interno ed esterno (area nord Italia) per la ditta Menù e collaboratore nel reparto Ricerca e Sviluppo della stessa. Menù è un’impresa produttrice di cibi semi lavorati di alta qualità diretti alla ristorazione, sede a Cavezzo, Mo. Alcuni sporadici servizi di catering presso Armonie Ricevimenti e servzi periodici presso winebar I Picari.
da luglio 2009, collaboratore nella redazione di articoli con la rivista “L'arte in cucina”,curatore di una rubrica specializzata “cucina/gastronomia food design”.

Concorsi di cucina:
2004, partecipazione come singolo alla 3°rassegna provinciale
sull'aceto di Nonantola
2005, medaglia d'argento come squadra di cucina
RistoTeam-AngeloPo al concorso internazionale di arte culinaria
e pasticcera Ikka 2005, tenutosi a Salisburgo dal 12 al 17
marzo 2005
link: www.vko.at
2005, medaglia di bronzo come squadra di cucina
RistoTeam-AngeloPo ai Campionati Mondiali della Cucina -
Igeho 2005, tenutosi a Basilea dal 19 al 23
novembre 2005
link: www.igeho.ch
2006, medaglia di bronzo come squadra di cucina RistoTeam-AngeloPo alla Coppa del Mondo di LussemburgoExpogast 2006 (Expogast Culinary World Cup Luxembourg 2006), tenutosi a Lussemburgo dal 18 al 22 novembre 2006link: www.wacs2000.org
2008, secondo classificato come concorrente singolo al concorso“Asparago d’Oro d’Altedo”, tenutosi ad Altedo, Bo.
2008, 3 medaglie di bronzo, nella categoria “singoli”, conseguite da tre chefcomponenti della squadra di cucina RistoTeam alle Olimpiadi della Cucina – ika 2008 (the 2008 Culinary Olympics)link: http://www.wacs2000.org/

Corsi di cucina:
In collaborazione con lo chef Flammia organizzazione, gestione e
svolgimento di corsi di base e specialistici di cucina, tenuti presso
il ristorante Village2 a Cavazzona e il ristorante RistoPizza a
Spezzano di Fiorano Modenese nell’anno 2006

Aspirazioni future:
Attualmente frequento le lezioni del corso di laurea specialistico in Giornalismo e Cultura Editoriale. L'intento che perseguo è quello di riuscire a far combaciare le due materie di studio -cucina/giornalismo- per poter così applicare le mie conoscenze tecniche ad un giornalismo settoriale che oggi ha grande rilevanza nel mercato editoriale.Contemporaneamente sono fortemente stimolato a progredire nel vero e proprio lavoro di cucina, nell'esperienze lavorative in locali con servizi ristorativi di eccellenza, nei concorsi di arte culinaria e nella continua collaborazione per la realizzazione di corsi di cucina specialistici con la squadra di cucina, cuochi professionisti e delegazione di Modena 'associazione cuochi. Sincronicamente voglio anche approfondire la teoria: la ricerca sul cibo, lo studio delle diverse materie prime, dell'innovazione culinaria e della cultura gastronomica italiana ed internazionale collaborando con grandi cuochi, scuole alberghiere e nuove tecnologie.
Sto inoltre impegnandomi in collaborazioni giornalistiche e di critica gastronomica con una rivista del settore d'interesse come “l'arte in cucina” grazie alle buone conoscenze
tecniche e teoriche sviluppate.

Interessi extralavorativi:
Svolgimento di alcune attività di volontariato presso l'ente G.A.V.C.I. nell'assistenza scolastica a ragazzi di scuole medie superiori e trasporto e assistenza ad anziani.

grazie per il tempo dedicatomi,
Pellicciari Eugenio.

sabato 26 giugno 2010

Cibus Tec - articolo tratto da "L'arte in cucina", novembre/dicembre 2009


A Parma, da martedì 27 a venerdì 30 ottobre 2009, si è tenuta “Cibus Tec 2009 – Food Processing &
Packaging Exhibition”, la fiera sulla meccanica e l'industria agrifood.

Cibus Tec è il più completo expo delle nuove tecnologie dell'intera filiera agrifood: lavorazione, trasformazione, packaging, tracciabilità, logistica, test control e tutto ciò che è ad esso connesso.
Partendo dall'assunto secondo cui un prodotto alimentare è modificazione della materia prima di partenza (modificazioni che possono essere cercate o spontanee ed involute) è necessario avere conoscenze biologiche, biochimiche, chimiche, microbiologiche e fisiche in campo alimentare oltre che la padronanza di tecniche e tecnologie dei processi. Questa necessità è imprescindibile nel moderno mercato agrifood in relazione alle norme legislative e qualitative cogenti e per la sopravvivenza stessa di un'azienda. Applicando alla tecnica, cioè all'antica arte artigiana, la tecnologia, ovvero le moderne conoscenze scientifiche, si possono razionalizzare, evolvere ed innovare i processi così da renderli adatti alle richieste di aziende e consumo.
Fino agli anni ottanta, prima di alcuni noti scandali alimentari, si poteva vendere molto bene qualsiasi prodotto in un mercato poco attento agli aspetti qualitativi. Oggi la situazione è strutturalmente cambiata: il prodotto dev'essere buono ma prima di tutto salubre, per questo è fondamentale conoscere alla perfezione ciò che si produce e come lo si produce.
Per questo la fiera trova sempre più significato per l'intero settore: offrendo sempre nuove tecnologie e soluzioni.

Le “Fiere di Parma” festeggiano quest'anno il settantesimo anno dalla nascita, avvenuta nel 1939 proprio in occasione della prima rassegna sulle tecnologie alimentari “Mostra autarchica per scatole ed imballaggi per conserve alimentari”.
Non a caso questa manifestazione, oggi come allora, si svolge nella città ducale: fin dagli anni '20, Parma, era primo centro nazionale della produzione e trasformazione del pomodoro. Nello stesso decennio si insedia nella città emiliana la Stazione Sperimentale per l'Industria delle Conserve Alimentari che determina così l'inizio di uno sviluppo scientifico che andrà di pari passo con quello meccanico a migliorare la conoscenza tecnologia nel settore. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, i macchinari per la trasformazione del pomodoro prodotti a Parma vengono venduti in tutte le imprese conserviere del mondo. Uguale crescita, in termini di affluenza e di nuove iniziative, la si registra anche per la fiera espositiva; rinominata Tecnoconserve, si conferma come la maggiore esposizione internazionale di tecnologie dedicate alla produzione agroalimentare industriale. Nuovi macchinari e tecnologie, trend di consumo e mode alimentari vengono mostrate dalle aziende alle aziende.

In un mondo globalizzato gli orizzonti di imprese ed imprenditori diventano globali. Per rispondere in modo adeguato ai trend di mercato la fiera ha quest'anno puntato ad una forte internazionalizzazione; sono stati ospitati a Parma 300 delegati ufficiali in rappresentanza di 26 paesi, che si sono aggiunti ai previsti 30.000 operatori che hanno visitato Cibus Tec 2009.
Come già detto, partecipano una miriade di aziende espositrici direttamente o indirettamente collegate al comparto alimentare. Partendo dalle più grandi aziende di macchinari per la trasformazione (tra cui quest'anno, per la prima volta, ve ne erano anche provenienti da Cina o Giappone), troviamo imprese di pavimentazione e allestimenti per industria alimentare, camici e vestiari per gli addetti, laboratori di analisi chimica, laboratori di controllo qualità, imprese produttrici di materiale per la pulizia di ambienti e della persone, ditte di packaging, di strumentazione informatica per controllo processi e tracciabilità, editoria specializzata, imprese di consulenza, addirittura il consolato indiano e molto altro.

Il target a cui gli espositori e la fiera stessa si rivolgono con le proprie offerte è di certo quello delle imprese operanti nell'alimentare, ma non solo.
Infatti, per questo evento, si incontrano a Parma anche numerose aziende che non operano nè direttamente nè indirettamente nel settore d'interesse, e che qui convergono solo per prendere contatti con grandi gruppi che offrono servizi e prodotti meccanici a una porzione di imprese trasversalmente presenti anche in settori molto diversi tra loro e che spaziano da quello dell'alimentazione.

Oltre al commercio la manifestazione stimola il dibattito nel settore.
Tradizionalmente si sono tenute le giornate dedicate ai principali argomenti d'interesse industriale: il Milk Day, il Tomato Day ed il Meat Day.
In aggiunta, in questa edizione l'organizzazione ha investito nel favorire la comunicazione tra espositori, visitatori e parti terze. Tra i protagonisti di maggior interesse intervenuti possiamo citare: O.N.R. (Osservatorio Nazionale Rifiuti), Università di Parma, S.S.I.C.A. (Stazione Sperimentale per l'Industria delle Conserve Alimentari), Bureau Veritas, Updating, e-Gazzette, All'interno dei padiglioni del quartiere fieristico sono state identificate quattro “aree divulgative”, ognuna ad un proprio tema e curata da un partner specializzato, in cui si sono approfonditi altrettante tematiche di strutturale importanza per l'industria agroalimentare.
Queste attività, complementari al programma convegnistico di Cibus Tec, hanno quindi offerto ancora maggiori spunti e possibilità di interazione tra le diverse parti in campo.
Le quattro zone erano così suddivise:
area divulgativa sui rifiuti, area divulgativa tecnologia e ricerca, area divulgativa sui servizi per la gestione dei rischi nelle tecnologie alimentari, area divulgativa sulla tecnologia alimetare.
Inoltre, contemporaneamente a Cibus Tec 2009 si svolgerà “Trace Id”, una manifestazione completamente dedicata alla tracciabilità dei prodotti alimentari.
E' necessario sottolineare la grande quantità di riviste, pubblicazioni e case editrici operanti nel settore ristorativo e dell'industria alimentare per lo più sconosciute al grande pubblico.

L'edizione 2009 della fiera si chiude quindi con diversi risultati positivi: l'affluenza è stata abbondante -oltre 850 espositori, 21mila visitatori e 107 giornalisti.
In ultima analisi, al termine della fiera, i segni che emergono alla fine dei meeting così come quelli provenienti dal mercato sono incoraggianti ed emerge chiara la tenuta del comparto che resta solido nonostante il pessimo periodo per l'economia.
Da sottolineare la sempre più marcata tendenza globale ad un rapido passaggio a una nuova e più avanzata gestione dell'energia: generazione energetica dal riutilizzo degli scarti agricoli e di produzione e utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, estensive (sole e vento) ed intensive (biomasse, biocarburanti, biogas).
Il tutto fortemente sollecitato dall'Unione Europea e dagli organismi internazinali.
Sbirciando ai progetti futuri di “Fiere di Parma” scopriamo che l'intenzione, ormai ufficializzata, è quella di passare ad una cadenza triennale per l'organizzazione di Cibus Tec per dare spazio ai singoli convegni tematici che grazie alla crescita registrata in quest'edizione diventeranno annuali ma mantenendo comunque l'indiscutibile priorità della manifestazione centrale rispetto a questi ultimi.

Eugenio Pellicciari
eugenio.pellicciari@studenti.unipr.it

rivoluzione pacifica della società civile


Quando ero piccolo, avevo più o meno dieci anni, scoppiò in Italia "Mani Pulite", un'inchiesta su finanziamenti illeciti ai partiti, su concussione e corruzione diffuse, si scoprì, a tutti i livelli della struttura pubblica.
Senatori, deputati, alte cariche e partiti politici, insomma la classe dirigente, erano coinvolti a piedi pari in una sistema tanto consolidato quanto vergognoso instauratosi occultamente nelle viscere dello stato.
Tangentopoli rivoluzionò in pochi mesi il panorama politico del nostro paese. Partito Socialista, Democrazia Cristiana, PSDI e altri partiti che avevano tenuto le redini della repubblica dal dopoguerra fino ad allora scomarvero o furono fortemente ridimensionati. Il gap indotto da quest'inchiesta fu talmente incisivo da condizionare un cambio di marcia nell'assetto della nazione, da allora in Italia si parlerà di Seconda Repubblica.
Dopo il discorso tentuo da Bettino Craxi in parlamento durante le inchieste -http://www.youtube.com/watch?v=dyjc5N6sepU- i cittadini si indignarono talmente da intraprendere manifestazioni e alcune azioni clamorose -http://www.youtube.com/watch?v=2lOrwLu8sjA&feature=related.

Tratto dalla pagina "Mani Pulite", Wikipedia -
http://it.wikipedia.org/wiki/Mani_pulite:
"L'opinione pubblica dopo l'iniziale smarrimento, si schierò in massa dalla parte dei PM: la giustificazione stessa della legge sul finanziamento pubblico ai partiti veniva percepita come priva di senso, visto che per anni era stata spiegata con le necessità di sostentamento della politica ed ora si scopriva che ciò non aveva fatto venir meno la corruzione.
Nacquero comitati e movimenti spontanei, furono organizzate fiaccolate di solidarietà con il pool, sui muri comparvero scritte come "W Di Pietro", "Di Pietro non mollare", "Di Pietro facci sognare" e "Di Pietro tieni duro!". Si diffusero persino slogan come "Tangente, tangente. E i diritti della gente?" o "Milano ladrona, Di Pietro non perdona!", o anche "Colombo, Di Pietro: non tornate indietro!"; vennero distribuiti orologi rappresentanti "l'ora legale". Nei sondaggi dell'epoca, la popolarità di Di Pietro e del pool raggiunse la percentuale record dell'80%, la cosiddetta soglia dell'eroe."

Chinque leggesse quanto detto sopra, se non fosse italiano e se non conoscesse la storia contemporanea, direbbe: "Bene! Un sistema politico così corrotto e inadeguato non può atro che trarre enorme vantaggio da un'azione sanante come quella intrapresa dai magistrati. A distanza di quasi ventanni si potranno certamente riscontrare cambiamenti positi nella vita politica di quel paese."
Le due condizioni poste tra le virgole nel capoverso precedente sono però il "mare" interposto tra il dire ed il fare.
Quel "chiunque", ignoto commentatore della storia politica repubblicana, rimarrebbe a dir poco basito se gli si sottoponesse un qualunque quotidiano trattante politica interna datato 2010.

Cambiano attori, scenografie e pubblico ma lo spettacolo che va in onda è sempre lo stesso...

La situazione è sconfortante. Di quella "rivoluzione pacifica della società civile" -riprendendo una definizione di Indro Montanelli- cosa ne è stato? Quella stragrande maggioranza di italiani che si era schierata plebiscitariamente dalla parte del pool di Mani Pulite dov'è finita?
Non voglio aprire un dibattito sulla destra e la sinistra di oggi perchè sarebbe troppo ampio e si cadrebbe nella maleducazione; non voglio citarle perchè non mi sento neanche di definirla una classe politica.
Gli autori di tutti i tempi, affrontati e studiati in diversi anni di scuole superiori, quelli che hanno gettato le fondamenta ed i principi del nostro vivere sociale, non hanno proprio un bel niente da spartire con quei buzzurri arricchiti e pieni di sè che ci governano oggi. Quelli si erano politici.
Nel 2010, in Italia, si vota il meno peggio, si vota i leader a cui più vorremmo assomigliare perchè è riuscito a scalare il potere oppure si vota il partito che ha il jingle elettorale più orecchiabile alla tv.
Coloro contro cui -voi, perchè io ero ancora troppo piccolo per farlo- scagliavate le monetine o che additavate come cancro della politica, sono gli stessi che oggi torniamo a votare. Come nei migliori sindacati di categoria si è applicata una perfetta mutua assistenza tra partiti di sinistra-centro-destra. Si sono rettificati, spurgati e reciclati nella medesima pasta ed oggi sono di nuovo li, dentro alle loro torri d'avorio che dirigono il nostro paese "in casino" -perdonatemi la schiettezza.

Negli ultimi anni nel nostro paese si sente molto parlare di antipolitica e malapolitica...
Girando per la strada, parlando con gli amici, ascoltando la radio ci si accorge dell'avversità e la diffidenza che l'italiano medio ha maturato ormai da diverso tempo nei confronti delle istituzioni politiche.
E' normale se si considera lo sdegno provato nel 1992 e la condizione stabile e immutata del 2010.
Ma io, così come la maggior parte delle persone con la quale mi confronto, non sono antipolitico.
Anzi, tutt'altro.

Proprio perchè la politica mi appassiona e mi sento coinvolto nella vita repubblicana della mia nazione sono andato a rispolverare alcuni appunti di filosofia politica:
Definizione di rappresentanza. Per rappresentanza s’intende normalmente la trasmissione formale del potere tra chi detiene la sovranità (in democrazia la totalità degli individui a cui appartiene il potere) e chi è legittimato da questi ad imprimere contenuto al comando politico (la persona rappresentativa).
Secondo Benjamin Constant la libertà degli antichi, la sovranità, era esercitabile da ogni individuo per sua stessa mano perchè le assemble erano pubbliche e le comunità piccole. La libertà dei moderni invece si basa sul godimento dei dirtti e delle libertà civili, vi è dominio della legge e libertà dalle ingerenze dello stato. La partecipazione diretta è limitata. L'articolazione dello stato e dell'economia portano ad uno svincolamento dell'individuo dagli oneri della politica ed alla scelta di rappresentanti professionisti e preparati che ne svolgano le veci.

Proprio sulla base di queste considerazioni, proprio perchè mi piace la politica e tengo al luogo in cui vivo mi sento in dovere di affermare che non mi sento rappresentato!!!
se il mio diritto/dovere nei confornti dello stato è andare a votare, allora il diritto/dovere dello stato nei miei confronti è fare in modo, legiferando, che i rappresentanti proposti non siano vergognosi. La proposta dev'essere fresca, seria e professionale. Non avidi imprenditori, scaldapoltrone e mangiapaneatradimento per la metà con un piede nella fossa. Servono nuove idee, riforme, giovani che abbiano ben presente la vita reale e non quella viziata e corrotta che si vive dentro ai più bei palazzi di Roma.

Io a voi non ci credo più! Insultante l'Italia!
Facciamola noi la Nostra Politica e salviamo noi la Nostra Italia!

"Chi entra in politica, deve avere le MANI PULITE".
Presidente Sandro Pertini, discorso ai giovani, 1980.

Tangentopoli - BluNotte

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f0436425-7f52-4f0b-bccc-f80d2562770f.html?p=0

venerdì 25 giugno 2010

Food Design - articolo tratto da "L'arte in cucina", numero di settembre/ottobre 2009

Food design:

Il food design è una nuova tendenza nata dall’arte culinaria che radicalizza il rapporto tra arte e cucina ed il concetto dei due singoli termini per affrontarne diversi aspetti generalmente trattati come secondari o di minor rilievo e da questi estrarne esperienze sensoriali nuove e significative.
Questa materia riunisce conoscenze tecniche di cucina, di design, tecnologiche, chimico-fisiche, biochimiche, microbiologiche e matematiche allo scopo di esplorare il cibo e
l’alimentazione sotto un’altra luce. Qui si uniscono per la prima volta il cibo e l’estetica come argomenti chiave di ricerca.

A livello internazionale il food design si è sviluppato negli ultimi anni. In Italia ha avuto come cassa di risonanza gli eventi expo “Food Design” di Torino e “Salone del Mobile” di Milano che con mostre e concorsi ad essi associati hanno proposto al grande pubblico nuove idee e concetti a tema. Essendo il nostro paese intrinsecamente e culturalmente preposto in campo alimentare ne è scaturita una florida schiera di professionisti, aziende ed istituzioni che in questo campo hanno creduto, lavorato ed investito; designer, grandi chef, stilisti, aziende, professori ed università stanno muovendo i primi passi nella ricerca di questa disciplina donando a quest'ultima grandissima visibilità.

La ricerca ed il lavoro in questo senso perseguono l'obiettivo di trasformare e ridisegnare i prodotti alimentari e le tecniche, la tecnologia e l'utensileria ad essi collegata per ottenerne di migliori dal punto di vista funzionale -prodotti da tavola, prodotti da ristorazione e prodotti da consumo di massa- ed estetico -piatti da concorso, altissima ristorazione e piatti da “museo del cibo”.
Unendo professionisti di settori anche molto lontani tra loro si sono potuti determinare risultati che aprono nuove frontiere materiali e concettuali.
La ricerca indaga l'interrelazione tra organico ed inorganico; manipolazione, risposta, trasformazione, comportamento, processi e tecnologie sperimentali conseguono insieme a determinare nuovi risultati e quindi nuovi standard.

Tra i due campi che generano tale disciplina, di palesemente diversa, quasi opposta, natura, ne abbiamo un primo peculiarmente e biologicamente indispensabile alla vita dell’uomo –il cibo- ed un secondo più superfluo, frivolo, accessorio –l’arte. Entrambi nascono per soddisfare esigenze umane, eppure la funzionalità, l’importanza e il messaggio che essi esprimono e molto diverso. E’ proprio questo assunto che valorizza ed esalta l’incontro tra questi due elementi, proprio come in un bel piatto il contrasto cromatico o policromatico rende più sgargiante e di figura una pietanza, come in un buon piatto una contrapposizione di sapori ben studiata (es.dolce/salato) crea un matrimonio di sapori unico, astrattamente l’antagonismo tra cucina ed arte da vita ad un connubio che proprio perché tale e violento è intenso e passionale.

Il food design sfrutta norme derivanti dalle arti visive e architettoniche sposandole alla polisensorialità dell'individuo e si applica in settori come l’industrial, interior o product design, spaziando dalla “mise en place”, all’ambiente –per esempio di sala o cucina-, sino al contenuto del piatto. Il tutto è diretto a determinare armonia, espressività, emozioni sensoriali e funzionalità di utilizzo al proprio fruitore.
Il fatto che a questa ricerca abbiano partecipato famosi designer ed importanti chef (le prime dimostrazioni le si rintracciano già nella Nouvelle Cuisine francese della fine degli anni '70) ha suscitato e accresciuto ancora di più il già grande interesse per il food design.
Ad oggi lo troviamo materia di seminari, corsi universitari (Politecnici di Milano e Torino) iniziative culturali e pubblicazioni, solide premesse ad una futura collaborazione tra designer, grandi chef ed industria.
I passi mossi verso la ricerca per il food design hanno portato anzitutto a risultati prestigiosissimi ed ormai noti come quelli dell'alta ristorazione; sono pochi a sapere, inoltre, che il food design si trova già nelle nostre case, nella vita di tutti i giorni: le patatine Pringles, ad esempio, sono state studiate affinchè la loro forma fosse più anatomica possibile alla lingua e al palato, per accrescerne la soddisfazione sensoriale. O lo svizzero Toblerone che ha avuto in dono dal design un architettura esteticamente affascinante, che richiama tra l'altro quella della più importante montagna Svizzera, il monte Cervino, e che al tempo stesso invita un particolare gesto funzionale per dividerne le porzioni.
Passando dal nodo cruciale stretto nella storia dell’architettura e dell’arte dalla Staatliches Bauhaus –o più semplicemente “Bauhaus”- e ponendosi davanti a quella lente interpretativa, è più facile capire se concettualmente e deontologicamente sia legittimo avvicendare la cucina ed il design. La risposta che ne otteniamo è: “sicuramente sì”.
Infatti questa scuola di pensiero, prima che di opere e di arte, invoca razionalismo e funzionaliso.
I tre punti su cui si articolò il manifesto del Bauhaus sono:
1. La ricerca dell'opera d'arte totale, concezione comune dal romanticismo in poi. Struttura portante ne è l'architettura in quanto attività fondamentale alla vita e alla società.
2. L'ideologia democratica: insegnanti (maestri)e gli allievi collaborano insieme, e gli allievi, una volta terminato di studiare, divengono insegnanti.
3. L'annullamento della distinzione fra "artista" e "artigiano". L'artigiano è un artista che quando è illuminato fa fiorire la sua arte. L'arte non si puó insegnare, mentre l'artigianato sì.
Valutando questi concetti sotto la luce del food design ecco che ne otteniamo un’incredibile rivelazione: il funzionalismo è chiaramente ed evidentemente applicabile all’arte culinaria. Possiamo così affermare che è completamente legittimo annoverare il food design come una piena e completa forma artistica.
Nel primo dei tre punti fondanti il pensiero di Walter Gropius ritroviamo una fortissima analogia tra l’architettura e la cucina, l’una come l’altra sono “attività cruciali alla vita e alla società”.
Per quanto riguarda il secondo punto, è facile paragonare il mestiere di cuochi e chef a quello dei maestri d’arte accademici.
Ma è il terzo punto ciò che da forza e sostiene la tesi imbastita nel mio progetto: “L’annullamento della distinzione tra artista e artigiano. L’artigiano è un artista che quando è illuminato fa fiorire la sua arte”. Reciprocamente possiamo dire che l’artista è un artigiano che quando è illuminato fa fiorire la sua arte; cioè è giusto fornire le conoscenze, tecniche e capacità di base a tutti coloro che ne sono interessati così da renderli “artigiani”, poi, in un secondo momento, con la padronanza di queste capacità e partorendo la propria attitudine personale ed il talento già naturalmente risiedente nell’uomo questo avrà la possibilità di elevarsi ad artista. Queste connessioni rispolverate da basi dell’arte contemporanea hanno notevole incidenza nello sviluppo di un concetto finale al tema da noi analizzato.
Oltre al fondamentale apporto avuto in eredità dal movimento Bauhaus, il Food Design trae anche spinte evoluzionistiche da movimenti artistici come Futurismo, Espressionismo e Pop Art e di correnti tecniche e di pensiero come Nouvelle Cuisine e Gastronomia Molecolare. Si lavora in studi, laboratori e cucine; si trattano la cromatologia, la modellazione 3d, le nuove tecnologie applicative, testi di chimica, ricettari, ecc…

Alla luce di quanto detto, parlando di food design si deduce che non lo si può definire come una semplice tendenza bensì l'evoluzionee l'innovazione nell'arte culinaria.
Eugenio Pellicciari

mercoledì 23 giugno 2010

La voce dei grandi

Tonando sul tema trattato nel post di ieri della dicotomia arte/cucina vorrei riportare un testo che mi è capitato di scrivere recentemente riguardo l'argomento.

Per meglio esprimere una visione chiara e globale ho perciò ritenuto importante apportare il pensiero di tre grandi portabandiera dell’arte culinaria italiana.
Ho incontrato lo chef Gualtiero Marchesi, considerato il fondatore della Nuova Cucina Italiana, lo chef Luigi Ugolini, presidente nazionale dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, e lo chef Luca Marchini, nuovo nome sulla scena dell’alta ristorazione.
Avere l’occasione di riportare i pensieri di tre figure di così alto profilo è un’opportunità che dona sincera emozione. E’ l’occasione, non solo per conoscere ed avere un rapporto interpersonale con facce che si è abituati a vedere in foto di giornali o in quelle di pagine web, ma per relazionarcisi più profondamente su un tema di interesse comune, la cucina. Si ha la possibilità di cercare, nascosta ma pregnante nel discorso, la personalità dell’intervistato. Si può interpretare, dopo il poco tempo passato insieme, non solo ciò che emerge dalle frasi che sono state scambiate ma il succo intrinseco e profondo che ognuno di essi incarna. Si può quindi azzardare di evincere lo stile, la visione, l’ordine e il metodo con cui ognuno di essi porta avanti il proprio lavoro.

Gualtiero Marchesi
L’intervista con Gualtiero Marchesi si è svolta per via telefonica, vista la molteplicità di impegni dello chef; quindi le domande sono state brevi e concise ma comunque molto mirate e significative.
D: Signor Marchesi, cosa ne pensa del rapporto arte/cucina?
R: Quello che io dico sempre è che la cucina è di per se una scienza, è il cuoco che la trasforma in arte (questa frase compare anche nella prima pagina del menù del suo ristorante “il Marchesino”, n.d.r.). In tutti i mestieri si prova a fare arte, ma molti fanno semplice artigianato, l’arte è un’altra cosa. L’arte è data dalla cultura. Bela Bartok dice che “l’improvvisazione presuppone la conoscenza della materia”.
D: Ho sentito molto parlare del suo tributo a Pollock,il “Dripping di Pesce”… R: Esatto, proprio un piatto del genere è la riprova di ciò che ti ho appena detto. Ma è solo un’espressione dell’arte, è una composizione. Un altro esempio: nel menu nel mio ristorante ci sono quattro tagli di carne interi, basta sapere come tagliarli per elevarli a piatto artistico, e questa è una scomposizione. Senza questa competenza probabilmente sarebbe solo un buon pezzo di carne, ma brutto. Figurati che mia figlia (artista anche lei, n.d.r.) ha raccolto in un’escursione una corteccia che già di per sé è una cosa bellissima, è arte della natura; ciò che ha fatto mia figlia è stato semplicemente contestualizzarlo in una cornice e, secondo me, è proprio in quest’ operazione che risiede il salto di qualità.
D: Un cuoco può essere quindi paragonato ad un artista, ad un pittore?
R: Un cuoco è certo un artista, la sua arte deriva dalla cultura, dall’intuito e dal saper applicare le innovazioni alla materia.. Mi diceva Ernesto Illy (scomparso l’anno scorso, n.d.r.): “I cuochi sono i chimici dell’intuizione”.

Luigi Ugolini
Per incontrare Luigi Ugolini mi sono recato presso il suo ristorante Perlage nel centro storico della città di Pistoia. L’ambiente è molto intimo e raffinato e dalle poche sedie del suo locale viene evocata un’atmosfera elegante riservata, ma al contempo calda, accogliente e famigliare come nella migliore tradizione toscana. Il legame con la storia ed il territorio è vivo anche grazie ad una enorme vetrata che si affaccia sul ciottolato del centro, ma, allo stesso tempo, si avverte anche una sottile attenzione nei confronti della modernità, come evocato da uno schermo al plasma nella sala e dalle preziose stoviglie di design contemporaneo che vestono la tavola. Sulla soglia del ristorante l’Ugolini mi accoglie con un abbraccio.
D: Qual è la sua opinione a proposito delle nuove tendenze artistiche in cucina?
R: Credo che la Nouvelle Cuisine, nella più radicale espressione del termine, o la cucina destrutturata, salvo i pochisimi luoghi in cui è preparata con coscienza, siano cose passeggere, tendenze destinate a non dominare la scena. La ricerca esagerata è una forzatura, come è una forzatura la proposta di certi piatti come il wagyu (manzo giapponese, n.d.r.), per il rapporto qualità/prezzo; razze toscane come la chinina, su cui sono state fatte approfondite ricerche e selezioni genetiche, hanno paragonabile qualità ma a prezzi decimati, per esempio.
Ciò che è importante, che rende la cucina arte, è la scelta della qualità del prodotto ed il saperlo maneggiare. Il vero artista di cucina è per me quello che fa il progetto di un piatto, dal primo pensiero alla realizzazione del prodotto finale, includendovi estetica e conoscenza di ciò che viene proposto dentro ed intorno al piatto. Per offrire una cucina artistica è necessario costruire un piatto con i giusti alimenti, il rispetto della naturale stagionalità, dimensioni e volume, policromia e contrasti. Un piatto deve trasmettere emozioni. Non credo nell’uso della chimica in cucina, i fornelli non hanno bisogno di chimici ma di cuochi che conoscano ciò che fanno.
D: Verso che direzione pensa si muoverà allora lo sviluppo della cucina?
R:Premetto che ho 62 anni e il mio punto di vista è parziale su certe cose.
La vera cucina, come lo era una volta quella delle nonne, si è trasformata, con il boom economico e il ridotto tempo disponile da dedicare ai pasti consumati a casa, nella cucina ristorativa. E’ però quella gastronomia espressa dalle realtà di livello alto ma non esclusivo; è quella che si ritrova nei moltissimi ristoranti che applicano le forme di cui prima parlavamo ma non quella offerta da quei ristoranti la cui arte è fruibile da una ristretta cerchia facoltosa. Quelle sono tendenze.
In quanti posti in Italia le si possono gustare? Quante persone possono fruire di quel tipo di cucina?
Il futuro lo vedo nella ricerca sulla qualità degli alimenti, nella ricerca sulle nuove tecnologie e sulla progettazione del piatto –frutto solo di capacità tecnica e fantasia del cuoco. Il pubblico lo richiede; la filiera km zero ha avuto un boom in quest’epoca globalizzata. Non è forse evidente?

Luca Marchini
Ho incontrato Luca Marchini presso il suo ristorante, in un bell’angolo del centro di Modena a ridosso della Facoltà di economia. Il locale è arredato con gusto, all’ingresso vi è una finestra che da sulla cucina da cui si nota a colpo d’occhio evidente pulizia e ordine. Lo chef mi ha fatto accomodare in una stanzetta riservata di un colore caldo tra l’arancione e il giallo che trasmette confortevolezza agio. Nella stanza l’attenzione è richiamata da un grande quadro ad acquerello.
D: Signor Marchini, che cosa ne pensa del rapporto tra arte e cucina?
R: Oggi la cucina è ancora pura alimentazione. Se la si vuole trasformare in arte c’è la necessità di un pensiero a monte, una lettura essenziale di sensazioni attraverso la cucina. Io quando scrivo una ricetta cerco di codificare delle sensazioni che vorrei trasmettere. Le mie ricette devono trasmettere le mie emozioni.
D: Per lei dunque un cuoco è un artista?
R: No. Vedi, quel quadro (dice riferendosi al quadro prima menzionato, n.d.r.) è stato dipinto da Giuliano Della Casa, lui è un’artista, un cuoco non è un’artista, è un artigiano. Un artigiano produce molte opere, e ogni tanto una è un’ opera d’arte. Io in un menù di degustazione medio di otto portate, come quello che offro qui nel mio ristorante, non posso trasmettere le emozioni o il mio messaggio in ognuna delle ricette che lo compongono. Un prodotto si deve conoscere e applicargli la tecnica migliore per ottenere il risultato migliore. E l’evoluzione tecnica, se c’è ben venga. Quindi ciò che trasforma un piatto in un’ opera sono scienza, cultura e soggettività ed inoltre la conoscenza deriva anche dal rispetto verso l’opinione delle persone che si siedono a tavola, se cioè l’ospite non mangia solo con la pancia ma anche con la testa.

Il diverso schieramento tra chi incita il progresso e l’innovazione e chi lo respinge è evidente; d’altra parte già dal tipo di comunicazione che mi ha permesso di mettermi in contatto con le tre personalità in questione si poteva evincere qualche ipotesi. Il grande Marchesi, per esempio, proiettato verso il futuro della cucina, ha preferito concedermi un po’del suo tempo per mezzo di un’intervista telefonica. Non sono stati necessari spostamenti fisici, la chiacchierata è stata molto rapida, anche se mirata, pertanto ha portato notevoli vantaggi ad entrambi. Dall’altro lato, però, non ho avuto l’occasione del confronto faccia a faccia e dunque di un approfondimento più personale. Al contrario Ugolini mi ha invitato nel suo ristorante ed ha scelto un confronto diretto, come si faceva una volta, in modo familiare ed amichevole e mi ha anche invitato a pranzo mettendo davanti a tutto il suo calore.

...e voi cosa ne pensate?

martedì 22 giugno 2010

Gianni Brera La repubblica 31/10/'92

Ma è come dormire senza sogni.

Considero un onore squisito questo di mettermi alla testa dell'ideale armata di fumatori che le rudezze di una legge conformista bigotta e crudele stanno per conculcare, affliggere e disgustare fino all'irriducibile dispetto. Sapeva chi mi ha comandato che ero e sono in possesso di ogni requisito.Sicuramente ho vissuto una delle mie infinite esistenze scoprendo il rito del fumo presso una vigorosa tribù di indiani del Nord America. Il calumet era considerato sacro come la soave estasi che ti coglieva affumicando le mucose della bocca e le papille con le ardue succhiate di aria carica di erba bruciata.Un francese ficcanaso scopre e da' il suo nome a una sostanza di cui avvertiamo soltanto l'efficacia: la nicotina. Ha sicure virtù curative. Conferisce briosa leggerezza nei casi in cui si riesca a sopportarla: sveglia la mente sprona l'intelligenza. Se ancora non sei pronto a dominarla, neanche la puoi godere, come è logico. È una sottile sbornia che ti assale e intontisce con nausee ricorrenti. Madama nicotina si conquista come qualsiasi bella donna, come qualsiasi bevanda prelibata. Nulla riesce facile che veramente giovi: nemmeno la poesia, non dico la matematica, la filosofia, la musica.Monsieur Nicot è il prezioso notaio di un vizio impalpabile e fino. Cosa avviene nel sangue di un uomo come il respiro vi porta l'ossigeno? Avviene che l'emoglobina si carica di ossigeno e diventa ossi-emoglobina: il sangue arterioso porta quella manna ai tessuti. E che avviene se l'aria entra nei polmoni già arricchita degli azzurri sbuffi del fumo di sigaretta? Chimicamente si induce che abbia luogo qualcosa di importante. La chimica è troppo bambina, e cosi' la biochimica, per individuare le sottili delizie che si scatenano o semplicemente si determinano nell'ossi-emoglobina pronta a venir prodigata in circolo con l'additivo del fumo….Qui si inseguono ineffabili fantasmi. La mente se ne popola irrorandosi di fantasie sublimi, stranamente propizia la poesia. Un vivace anelito aspira al mio calumet giornaliero con la vita.Il primo fiammifero è sacro come il fuoco tratto dal tempio di Vesta. Per evitare sacrilegi mi servirò da ora innanzi della cicca. Non so quante sigarette mi illuminano la via dei giornali.Me ne portano otto-nove ogni mattina. Poi mi si impone la pausa della doccia. Si avvicina il pranzo. Se riesce lungo, la sigaretta ne ritma i tempi secondo pause insigni, riaccensioni sagge del misterioso focherello che arde nel sangue con l'ossi-emoglobina.Capita sempre che si offenda un cuoco. Mi scuso lusingandolo: la patina del fumo serve da intercapedine fra il mio gusto troppo intenso e la sua arte troppo sopraffina. E piü non dimandare.Se il cuoco è un famigliare, la giustificazione è prontissima inconfutabile santa: e chi ti dice che non sia proprio la sigaretta il pretesto per una sana e indispensabile ginnastica polmonare? Si tace sugli stimoli mentali. Quelli, io so tenermeli segreti. La sigaretta mi arde tra le dita come una fede. E non si offende mai…..Più anni in giro per il mondo a battere furioso polpastrelli su atleti medio-proporzionali tra gli arrotini e le aquile. I riti dell'arsione sigarettizia sono i più spicci, quasi automatici. Almeno cento ossessi gomito a gomito spremono affaticate e spesso corrose meningi. Quando le circonvoluzioni non ricevono sufficienti irrorate di sangue, i polpastrelli in angoscia cercano diversivi. La prima risorsa è offerta da sorella sigaretta. Si prende dal pacchetto, si accende il fiammifero, si incendia il tabacco e intanto si aspira come per una liberazione profonda (oh yes). Gli occhi apprensivi si volgono a sogguardare se gli altri – I cani, I nemici – si siano accorti della panne, cioè della sospesa irrorazione sanguigna. Pensino quel che vogliono. L'ultima cartella verrà. Le idee e gli argomenti ci sono: deve solo riattecchire il motore. Il fumo disegna volute che paiono segnali. La nicotina trae il suo elegante frustino di sadica e sferza le meningi: ecco riapparire pieno gremito lo schermo della fantasia. I polpastrelli fremono. I tasti cantano ticchettando. Il tuo epos di poveri si va ripopolando di eroi. Dell'umile e prodigiosa droga bruciata in un istante non ricordi nemmeno.Viene anche il tempo in cui la fuliggine si addensa sulle pareti dei bronchi come succede nei camini a fuoco di legna o di carbone. Allora ti avventuri nella potente foresta dei sigari. Sono autentiche sequoia in miniatura. Abbi cura di incendiare la pelletica d'intorno, se non brucia. Il Toscano è un vulcanetto tascabile, di quelli che eruttano fuoco alla minima scossa. Il magma lavico si sublima in spire da consiglio di guerra aperto a tutti i guerrieri di un popolo, non di una sola tribù. Le spire azzurre e calde invadono la bocca e aggrediscono le mucose come un fiato demoniaco. Anche il sigaro va conquistato. È una goduria greve e forte, del tutto priva di frivole moine. La bocca si riveste di una gromma rugginosa sulla quale, sfregato, si accenderebbe anche un fiammifero di legno. Il vantaggio pratico è dato dal fatto che il fumo della boccata non si manda nei polmoni, resta in bocca: al più, si espelle dal naso. Se reggi alle fiammate di quell'inferno, puoi chiamarti beato, ma può succedere che, a digiuno, ti si accartocci lo stomaco, ti vengano gli stranguglioni come agli allocchi inciucchiti per sfregio dalla cicca ficcatagli nel becco.Resta la pipa, che ci riporta dritti agli indiani. Di mezzo ci si sono messi gli inglesi, che hanno inventato tutto, anche il succhiare fumo da un fornello di radica. La pipa esige calma interiore livello filosofico, sublime pacatezza dell'anima. Le sue delizie sono infinite e non tutti vi possono accedere senza adeguate risorse religiose. Bisogna conquistare anche quel fumo ormai sapiente da secoli.Non ho più spazio per esaltare degnamente un fenomeno di così alta civiltà. Io vi ho solo accennato ai piaceri che ci vengono dal fumo reale di foglie accese dopo preparazioni e conce di anni. Sono rimasto al rito plebeo e svelto della sigaretta, misteriosa nelle sue aggiunte all'ossi-emoglobina. Ora, che il conformismo degli igienisti ci gabelli per santa una crociata di spegnimoccoli mi disturba fino all'orrore, non solo al dispetto. Sono anche sdegnato che il piacere degli altri si guardi sempre con l'astiosa invidia di un fratacchioncello magro e denutrito che piacere non può né deve avere. Allora, sapete, io dico: peggio per lui e per tutti quelli che somigliano a lui. Io intendo fumare fino all'ultimo fiato. Poi, che si arrangi la mia emoglobina. Vivere senza fumo sarebbe come dormire senza sogni.

IMPORTANTE e URGENTE

ciao colleghi
qualcuno sa darmi due dritte su come applicare google analytics alla pagina?
ho provato ad iscrivermi e usarlo ma ho delle difficoltà!

grazie mille

il gusto

Ciò che in passato ho scoperto con piacere è che il bello del settore di cui mi interesso è che non ha limiti... di nessun genere... l'alimentazione, la cucina, il food & beverage sono ovunque intorno a noi. La compra/vendita, la lavorazione o l'implemento di servizi al consumo ci circondano in tutte le fasi della nostra giornata.
Oltre alla parte artigiana di mano d'opera del cuoco vi sono una miriade di occupazioni a cui ci si può interessare in relazione col cibo; siano queste amministrative, scientifiche, umanistiche, nel settore economico, nell'organizzazione di eventi, ecc...
In virtù di questo, ormai cinque anni fa ho deciso di non concludere la carriera scolastica all'istituto alberghiero ma di continuare a studiare in questo senso.

Il corso triennale in scienze gastronomiche mi ha dato modo di affrontare e approfondire moltissimi insegnamenti tutti strettamente correlati al cibo.
Durante questo periodo, oltre ai più canonici studi strettamente legati alla materia, ho approfondito anche punti di vista più filosofici e profondi:
il concetto di "gusto" è sicuramente tra i temi più interessanti che si possano indagare con minuzia.

Definire il gusto non è semplice:
nel corso dei millenni, l’evoluzione umana e culturale ha portato con sè una conseguente evoluzione del gusto.

Il gusto: assunto di partenza, termine che diamo per palesato, fin dalla più tenera età ci si trova a dovercisi relazionare quotidianamente nel mangiare, nel bere, nell’annusare… ma sappiamo davvero di quello che stiamo parlando? Si conosce davvero il significato del termine “gusto”? onnipresente nei nostri discorsi e confronti, si tratti di moda o di arte, di arredo o musica, di aromi, fragranze o pietanze, il gusto ha dietro di sé una storia complessa, e per secoli è stato al centro del dibattito estetico proprio perché direttamente vincolato, simbiotico e discendente alla materia estetica.
Facoltà intermedia tra i sensi e l’intelletto, erede e concorrente del giudizio, espressione di un conoscere che diletta e di un diletto che accresce la conoscenza, il concetto di gusto si rivela, nonappena se ne seguono le vicende, ambiguo e sfuggente. Ricostruirne il cammino non è solo una sfida per la storia delle idee, ma anche un compito al quale la storiografia estetica non può sottrarsi, perché le vie attraverso le quali ha preso forma il concetto di gusto sono in gran parte le stesse che hanno portato alla nascita dell’estetica moderna. Si potrebbe edificare un lungo discorso sulla nascita e i sentieri su cui il gusto contemporaneo si è andato via via caratterizzando nella storia (i primi precorrimenti, il sorgere del concetto in Spagna e in Italia, fino alla grande voga nella Francia, nella Germania e nell’Inghilterra del Settecento) ma non è questa la finalità ricercata in questo lavoro.
Il gusto come l’estetica non ha l’unica –un po’ superficiale- accezione che le persone comunemente tendono ad attribuirgli nel linguaggio di tutti i giorni.
La filosofia spende parole, dedica pensieri, libri interi per teorizzare e connotare precisamente questo termine:

Thomas Reid nella sua opera “Essays on the Intellectual Powers of Man” (1785).
“Chiamasi gusto quel potere della mente che ci fa discernere e apprezzare le bellezze della natura e quanto di perfetto vi è nelle belle arti.
Il senso esterno del gusto, mediante cui distinguiamo e assaporiamo i diversi generi del cibo, ha occasionato un’applicazione metaforica di questo termine al potere interno della mente che ci fa percepire ciò che è bello e ciò che, invece, è deforme o difettoso negli oggetti che contempliamo. Come a quello del palato, così a questo gusto [mentale] piacciono alcune cose mentre altre ripugnano; rispetto a molte esso è indifferente o incerto, ed inoltre è notevolmente influenzato dalle abitudini, dalle associazioni e dalle opinioni. Tali ovvie analogie tra il gusto esterno e quello interno hanno indotto gli uomini, in tutte le epoche e in tutte o quasi le nazioni progredite, a dare il nome del senso esterno al potere di discernere, provandone piacere, ciò che è bello e, provandone invece disgusto, ciò che è brutto o imperfetto nel suo genere.
Nel senso esterno del gusto, la ragione e la riflessione ci portano a distinguere fra la sensazione gradevole che proviamo e la qualità che, nell’oggetto, produce quella sensazione. Entrambe sono chiamate con lo stesso nome, e in conseguenza di ciò sono suscettibili di essere confuse l’una con l’altra non solo dalla gente incolta ma anche dai filosofi. La sensazione che provo gustando un cibo saporito sta nella mia mente, ma nel cibo esiste una qualità reale che è la causa di quella sensazione. Se uno stesso termine designa le due cose, ciò non dipende da qualche somiglianza nella loro natura, bensì dal fatto che una è il segno dell’altra, ed inoltre perché nella vita quotidiana si ha poche occasioni di distinguerle.
Il gusto del palato può definirsi giusto ed esatto quando ci fa assaporare cose adatte al nutrimento del corpo facendosi provare invece disgusto per quelle di natura opposta. Chiaramente, l’intento della natura, nel darci questo senso, era che potessimo distinguere quali cibi dobbiamo mangiare e quali bevande bere. Nella scelta del cibo, gli animali bruti sono guidati soltanto dal gusto, e così guidati scelgono proprio quel cibo che la natura a destinato loro, sbagliandosi di rado e solo se tormentati dalla fame o ingannati da prodotti artificiali. Analogamente, dobbiamo ritenere esatto e giusto il nostro gusto interno quando ci piacciono le cose che nel loro genere sono le più perfette, e ci dispiacciono invece le altre. L’intento della natura non è meno evidente nel gusto interno di quanto lo sia nel gusto esterno. Ogni perfezione ha una bellezza e un fascino reali che ne fanno un oggetto gradevole per coloro che sono dotati della facoltà di discernere la sua bellezza; e questa facoltà è ciò che chiamiamo buon gusto.
Tanto sul gusto esterno quanto su quello interno gli usi e costumi, la fantasia e le associazioni casuali delle idee esercitano una forza assai grande. Gli abitanti della Kamciatka si nutrono di pesce marcio e a volte addirittura sono costretti a mangiare la corteccia degli alberi. Ad alcune persone il sapore del rum o del tè verde sembra dapprima nauseante, ma dopo un po’, con l’abitudine, quelle stesse persone finiscono per trovare gustoso ciò che all’inizio trovavano sgradevole. Dopo aver constatato una simile varietà di gusti del palato prodotti da usi e costumi, dalle associazioni di idee, e alcuni forse dalla stesa costituzione degli individui, ci sorprenderemo meno a vedere che le medesime cause producono un’analoga varietà nei gusti del bello: gli africani apprezzano labbra grosse e nasi piatti, altri popoli si stirano le orecchie fino a farsele pendere sulle spalle, in un paese le donne si dipingono il volto e in un altro se lo lustrano col grasso”.

Rudolf Arnheim nella sua opera “La parabola del gusto” (1989).
“Forse la parola gusto, nel senso figurato del termine, deriva dalla sensazione propria del palato, perché il senso del gusto privilegia la soggettività di ciò che è gradevole o repellente e perché, più di ogni altro, riguarda ciò che attiene alla persona essendo i suoi simboli cose realmente introdotte nel corpo, e non che vengono solo toccate dall’esterno o che sono sentite come qualcosa che sta da qualche parte, nelle vicinanze. La lingua e il naso sono i guardiani dell’accesso. […]
quando parlo di estetica evito la parola gusto, perché il suo uso incoraggia un gioco delle tre carte verbale in cui si spacciano per verità oggettive le proprie preferenze, mentre viene contemporaneamente attenuata l’assolutezza dei propri giudizi, facendoli apparire come personali. L’“uomo di gusto” è chiaramente un individuo in cui per armonia prestabilita il piacetre personale coincide con il bene supremo. Non c’è maniera migliore di falsare un problema”.

Alla luce di questi estratti di antologia del gusto, di date considerazioni e conclusioni si evince che il gusto è un concetto frutto di una formazione culturale che ha manifestazioni diverse, talvolta opposte, a seconda delle società in cui questo è considerato e analizzato. Un esempio lampante, che permette di chiarire l’affermazione qui sopra, è che una multinazionale in campo alimentare quale Coca Cola cambi il suo sapore in funzione dei paesi in cui è venduta. Il gusto, inteso come formazione generale di sensibilità al brutto o al bello, al buono o al cattivo, all’estetico e all’antiestetico, cambia in funzione delle società e delle culture. Le esperienze, i contesti naturali, geografici e meteorologici portano negli anni, nei secoli ad assunti diversi nella formazione del gusto comune nelle etnie umane.

Bibliografia e sitorafia - http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/bibliografia-e-sitografia.html

arte e cucina

Come già detto, sia nella presentazione che in un precedente post, i miei studi e il mio lavoro trattano la cucina.

Il cuoco è un lavoro bellissimo ma al tempo stesso tra i più duri ed usuranti per via degli orari, dei giorni e dell'impegno richiesto. Inoltre non tutte le cuicine sono stellate, templi dell'innovazione e della ricerca culinaria, anzi, nel 99% dei casi la cucina è un ambiente piccolo con solo luci artificiali, saturo di aria unta e viziata e pieno di utensili ormai vecchi ed obsoleti. Questi fattori, dal punto di vista del lavoratore fondamentali per un buon tenore lavorativo, concorrono in maniera determinante a rendere una professione dura e poco appagante.

Di contro invece nelle cucine dei migliori ristoranti i problemi che sorgono per i lavoratori sono di altro genere; lo sapevate per esempio che quasi tutti gli esercizi che hanno alti o altissimi livelli di cucina lavorano con una "partita" -in cucina l'equipè è definita partita- di 3/4 chef fondamentali assunti a tempo indeterminato e con un numero uguale, spesso maggiore, di comis -in francese garzone- che sono ufficialmente in stage. Stage, per questo genere di aziende molto note e con ottima fama nel panorama HoReCa -hotel, restaurant & cafè-, significa periodo di lavoro all'interno dell'ambiente di cucina in cui il tirocinante, giovane ed inesperto, va per imparare il mestiere e carpire lo stile proprio di quel determinato ristorante e di quel determinato chef. Da un punto di vista più disilluso -o semplicemente con dieci anni d'esperienza lavorativa alle spalle- stage significa periodo di praticantato in cui il ristorante di alta classe ha un'ulteriore persona che aiuta in cucina, forze fresche a cui solitamente vengono assegnati i lavori basilari -spesso coincidono con i più ingrati- e che paga l'azienda per questo [...].

Nonostante quanto detto, comunque, il cuoco è un lavoro bellissimo, pieno di soddisfazioni.

Cuochi ci si nasce. Le caratteristiche peculiari che devono essere innate nella persona che vuole praticare questa professione devono essere il "senso del gusto" -più avanti publicherò un post specifico su questo argomento perchè tema fondamentale in un discorso più ampio sulla cucina- e l'estro creativo. Il gap che separa una persona che possiede tali caratteristiche da un cuoco è rappresentato semplicemente la voglia di fare e la fortuna di imboccare la strada giusta per farlo.
Riuscire a cucinare buoni piatti della cucina classica, così come partorire una nuova ricetta con un matrimonio di gusti incantevole è molto semplice quando si ha consapevolezza delle buone basi -intese come tecniche di cucina e conscienza degli ingredienti- e le si miscela con la perizia di un alchimista.

Oggi questo mestiere va anche molto di moda... una persona che da anni lavora in questo settore, poco tempo fa, parlando mi disse: "Sei fortunato! Adesso per rimorchiare le veline non bisogna più essere un calciatore, ma un cuoco!".
Anche se non la vedo nei medesimi termini, certo bisogna ammettere che negli ultimi anni la cucina, cioè l'alta cucina, quella che si può definire arte culinaria, ha acquisito grandissima notorietà, grazie anche a quella scatola magica che è il pane della cultura nazionale contemporanea, la tv. Dalla televisione di stato ai canali su satellite si sprecano trasmissioni, rubriche, reality e ogni genere di format televisivo a tema. Chef più o meno grandi che diventano stelle dello spettacolo. Nuovi anchorman che dal back-office diventano matatori dei programmi, perfette "bestie" da front-office. Di contro moltissime stelle dello spettacolo e della moda che invece giocano a fare gli chef o i ristoratori, aprendo esercizi in tutto lo stivale e solo in un secondo momento scoprendo che gestire questo tipo di attività non è giocare a Monopoli.

Quanto appena detto invita ad una conseguente riflessione: l'evoluzione che il cibo –come fine- e la cucina –come mezzo- hanno subito nella storia dell’uomo, fintanto che nel mondo contemporaneo si è stabilita una naturale e florida connessione tra cucina e arte, tra gastronomia e estetica, tra buono e bello.
Questo tema stimola interessi e significati molteplici e profondi, che non si limitano alla sola valutazione dal punto di vista estetico o tecnico di cucina, ma trovano chiavi di lettura economiche, storico-antropologiche, scientifiche, filosofiche, addirittura legislative.
La dicotomia cucina\arte risveglia forte interesse in quanto si incontrano due materie ontologicamente opposte.
La prima ha la finalità di soddisfare uno dei bisogni primari dell’uomo, la fame -vedasi la piramide dei bisogni di Maslow (1954)- necessità concreta per antonomasia; fin dall’antichità però si comprese la fondamentale importanza attribuitagli dall’ uomo. Indagando sul termine “gastronomia” –da gastros, ventre o stomaco, e nomos, regola o legge: la regola o legge dello stomaco- non è propriamente un’invenzione moderna. Esso figura nei Dipnosofisti di Ateneo, il grande erudito di Naucrati vissuto tra il II e il III secolo d.C. La lunga opera si ispira esplicitamente al Simposio platonico, è ricchissima, tra l’altro, di riferimenti a prodotti alimentarie a consuetudini gastronomiche del periodo greco e romano. Già in questo contesto, il termine già significante “regola del ventre” viene ad assumere, per estensione, il significato di “buona cucina”, “piacere della tavola” fino a quello di capacità o “arte” di apprezzare i buoni cibi e le buone bevande. Gastronomia racchiude quindi un motivo dietetico, la capacità di elaborare cibi e pietanze in un certo modo e quella di apprezzarli come tali. E’ poi ripreso molti secoli più avanti, nel 1801, quando compare nel titolo stesso di un piccolo poema, La gastronomie ou l’hommeides champs à table, poème didactique en quatre chants. L’autore che rilancia e rivitalizza il termine, probabilmente sulla scia della traduzione in francese dell’ opera di Ateneo, avvenuta a partire dalla fine del XVII secolo a Parigi, è un poeta “minore”, Joseph Bercohoux. L’irruzione sulla scena moderna di “gastronomie” corrisponderà, da un certo punto di vista, alla nascita di quella “cosa”- una “pratica”? una “disciplina”? una ”attività”?- che, dagli inizi dell’Ottocento, sarà chiamata appunto “gastronomia”. Questa “filosofia dell’alimentazione”, incentrata sui valori edonistici, nasce a Parigi ma non è un fenomeno esclusivamente francese: il poema di Berchoux viene tradotto in inglese, italiano, tedesco e spagnolo già dalla prima metà dell’ottocento.
L’arte invece è un artificio. Sovrastruttura volta ad assecondare l’intelletto nella sua ricerca del bello, dunque materia prettamente astratta, soggettiva e svincolata dall’essenziale.
“Attraverso l’arte noi esprimiamo la nostra concezione di ciò che la natura non è.
L’arte è una bugia che ci fa realizzare la verità.”
(P.Picasso, 1932)
Tuttavia questa opposizione di fondo va guardata oltre lo strato superficiale: infatti a causa dell’immediato legame, almeno a livello di senso comune, dell’estetica con l’immagine, l’estetica del cibo potrebbe essere intesa come qualcosa che ha a che fare esclusivamente con l’occhio: ancora piu in particolare, con l’ornamento e la decorazione, con la fruizione visiva delle pietanze. Ma nella fattispecie del campo gastronomico la nozione che invero vi è più sovente associata è quella di qualità. “Cucina di qualità” è un’espressione sintetica, paradossalmente assai complessa, nella quale rientrano, rimandandosi senza soluzione di continuità e senza che sia stabilibile a priori alcuna gerarchia, tanto le materie inerenti alla materia prima quanto quelle inerenti alla manipolazione, alla tecnica, al savoir faire, all’identità, ma soprattutto al gusto.
Per un’estetica degli oggetti e delle esperienze alimentari, l’estetica del gusto rimanda evidentemente non ad uno solo, ma ad almeno due sensi: come insegna la fisiologia, quello che si dice comunemente “gusto” richiede il lavoro congiunto dei recettori della mucosa olfattiva e di quelli delle papille gustative. Il gusto è odore + sapore: le sostanze volatili degli alimenti, responsabili degli odori, colpiscono la mucosa per via diretta se inspiriamo col naso prima di ingerire o bere un cibo o una bevanda (ad esempio un vino); per via indiretta se esse –come si fa di solito, quando non si degusta- introdotte subitamente in bocca, grazie all’ossigenazione provocata dall’aria che entra nel cavo orale, colpiscono la mucosa per via retronasale.
Il problema dell’estetico, poi, trova nel gusto un campo fertile di sviluppo, pur non riducendovisi -dato che può esservi “piacere del cibo” sia nel cucinare che nel coltivare. E’ chiaro, infatti, che il riconoscimento, la scoperta o anche la costituzione di qualità sensibili peculiari che definiscono l’oggetto alimentare porta con sé, parallelamente, la conquista di un piacere che è al tempo stesso tanto materiale, fisico, quanto colto, mediato: come aveva compreso Hume, ponendo in analogia l’ambito della degustazione del vino con quello della critica d’arte, piacere è godere di sfumature e differenze sempre più sottili e impercettibili ad un occhio, ad un palato, ad un naso, insomma ad un gusto non educato. La differenza tra un degustatore esperto ed autorevole ed un mero bevitore è data dalla formazione, dall’educazione e dall’esperienza al riconoscimento di percezioni sempre più piccole, non dalla fisiologia né dal talento innato (P.Bourdieu, 1988). Ma un’estetica del gusto non si occupa solo degli aspetti della degustazione e del piacere sensoriale cosiddetto “colto”; fedele al suo programma di presa in conto anche –se non soprattutto- degli aspetti di medietà, di ordinarietà dell’esperienza del cibo, essa considererà il gusto come nozione stratificata, come costellazione di elementi diversi. Il vino, per esempio, può essere goduto sia come dissetante che come psicotropo inebriante, ovvero in quanto espressione di sfumature aromatiche e sensoriali: il vino non si degusta soltanto, si beve. In tutti questi casi, dunque, si ha a che fare con un’estetica del gusto, che deve condurre analisi minuziose e particolareggiate caso per caso per produrre una fenomenologia dell’oggetto e della sua esperienza. Tutto ciò supponendo che un’estetica del cibo sia un’estetica delle differenze; da questo punto di vista il gusto del cibo è una grammatica percettiva della differenza goduta –o, al contrario, della differenza ripulsa. Analogamente, un’estetica del gusto dovrebbe formare la sensibilità anche nei confronti del cattivo estensivamente inteso: ad esempio sapere che quel vino è stato ottenuto con una tecnica enologica che fa largo uso di sostanze di sintesi, dovrebbe costituire un elemento di disvalore, che è ciò che accade anche quando si compiono operazioni come la degustazione.
E’ naturale allora, a questo punto, porsi delle domande: fino a che punto è possibile provare un piacere maggiore –o, se si vuole, una bellezza maggiore, un’opera d’arte- intessendo tutte le trame della complessità dei contesti, dei complessi da cui esso si sviluppa? Che rapporto vi è tra qualità e piacere? Cosa e quanto reclama a sé la fisiologia nella sua immediatezza non solo rispetto alla nutrizione, ma al piacere stesso, al piacere in sé? Si può di conseguenza affermare come un’estetica del gusto riguardi anche gli aspetti conviviali del consumo di cibo: modalità, tempi e luoghi del “mangiare insieme” che –analogamente al cuocere, al cucinare- è uno degli altri indici con cui si è indicata la distinzione tra animalità bruta ed umanità. Elementi che implementano e completano questo aspetto non sono solo il fatto che il convivio sia luogo di coesione sociale ed identitaria, ma anche luogo di socializzazione e di contrattazione al fine di concludere affari e siglare accordi, perché la grammatica del gusto pare sottostare a regole meno rigide di quelle vigenti in altri campi di natura e politica (G. Di Luca, 2006). Si pensi, inoltre, a ciò che accade quando si compiono operazioni come la degustazione –che sono dunque “rappresentazioni” nel senso delle arti- consiste in un tentativo di estrarre ed astrarre un oggetto dal suo contesto abituale. Bere centellinando, concentrandosi sull’oggetto e sulle sue qualità sensibili significa anche rarefare la dimensione materia e temporale del vino, la sua “sostanza”, e cercare di far lavorare gusto e olfatto come se fossero vista ed udito, sottraendoli alla loro costitutiva fugacità grazie ad esercizi di memoria che tendono a fotografare, a fissare la percezione gustativa stessa. Di più, la separazione sensoriale è già un’astrazione rispetto al significato e all’utilizzo dei sensi nell’esperienza quotidiana: chi si avvicina ad un cibo di solito ne coglie prima la dimensione complessiva, che coinvolge tutti i sensi sinteticamente, ed eventualmente solo dopo produce un’analisi.
“Ho gustato le pesche e le albicocche molto più di quanto le gustassi prima, da quando ho saputo che si cominciò a coltivarle in Cina agli inizi della dinastia Han; e che i cinesi presi in ostaggio dal grande re Kaniska le introdussero in India, da dove si diffusero in Persia giungendo all’impero romano nel primo secolo della nostra era. Tutto ciò mi rese questi frutti più dolci!” Bertrand Russel.
Si è parlato di politica, estetica ed etica del cibo. Ma parlare del piacere di mangiare significa andare oltre tali categorie: “Mangiare con il massimo piacere –un piacere, s’intende, che non nasce dall’ignoranza- è forse l’esempio più profondo del nostro legame col mondo” (W. Berry, 2006).
Non può, tale materia, rimanere campo di studi per una ristretta ed elitaria selezione di iniziati. Il grande Leonardo rifletteva sul fatto che l’”uomo medio” guarda senza vedere, mangia senza gustare e tocca senza percepire, ecc… Nella contemporaneità è notevolmente evidenziato il dualismo tra chi riesce a “fruire” di tali opere e chi invece mangia per la sola funzionalità del nutrirsi, forse addirittura in questo testo se ne scoprirà una conseguente radicalizzazione. Il contrasto tra gastronomia e alimentazione. La nutrizione, la sussistenza, il “cibo per fame” senza alcuna pretesa qualitativa rimanda, oggi, al dominio incontrastato dei grandi monopoli multinazionali che elaborano materie prime senza alcuna cura sotto l’alibi della necessità nutritiva; la gastronomia come campo del piacere del cibo, del “cibo come forma d’arte”, il quale rimanda a sua volta alle materie prime di qualità eccezionale per pochi e facoltosi intenditori. Questa dicotomia sposa un’economia a sua volta duale: agricolture e allevamenti intensivi, di massa, low-cost, da parte di produttori ricchi per consumatori poveri, e agricolture e allevamenti di qualità superiore, da parte di piccoli e spesso sconosciuti produttori per benestanti gourmet.

“Se la fame e la sete sono gli istinti primitivi nell’uomo – nella bestia, l’associare tali impulsi a valori estetici è un servire la causa della cultura ben più efficacemente che le noiose e oziose dissertazioni morali e filosofiche”
G. D’Annunzio, documento manoscritto conservato al Vittoriale.

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