martedì 29 giugno 2010

storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - Medioevo

Durante il primo periodo, immediatamente dopo la caduta di Roma, si persero le abitudini e le conoscenze agricole precedenti. Elemento principale per l’alimentazione torna ad essere il bosco dove si praticavano la caccia e la raccolta. Inoltre con l’arrivo di nuove popolazioni si perde il patrimonio alimentare e nutrizionale, anche se le vecchie tradizioni diffuse ovunque dai romani sostanzialmente permangono, aggiungendosi agli usi e costumi dei nuovi arrivati.

Le classi guerriere e nobiliari si cibavano, prevalentemente, di animali di grossa taglia, quali il cervo, il cinghiale, il daino e il capriolo, come previsto anche dall’Editto di Rotari.
Le migliori cucine si trovano nelle residenze dei nuovi potenti (per esempio a Ravenna con Teodorico e Cassiodoro), ma anche in diversi vescovadi e nei monasteri benedettini che si espandono a macchia d’olio in tutta Italia nei cui recinti e terre si coltivano vite, ulivo, alberi da frutto, frumento, ortaggi e si allevano animali: pollame, anatre, oche, piccioni, ovini, suini e bovini –questi ultimi per il lavoro nei campi e per burro, formaggio e ricotta.
Grande risorsa era la castagna, consumata in zuppe e castagnacci –rimasti ad oggi nelle tradizioni culinarie appenniniche. Un’importante fonte di cibo era data dalla pesca, soprattutto d’acqua dolce, infatti, in detto periodo, le coste si spopolarono a causa delle incursioni dei pirati saraceni.
Ma intorno all’Anno Mille, in seguito al miglioramento delle condizioni di vita, conseguente all’avvento del Sacro Romano Impero ed alle leggi che Carlo Magno promulgò per organizzare la produzione di fattorie e feudi, vi fu un largo ritorno alla coltivazione con la nuova adozione di strumenti innovativi –aratro con vomere in ferro e imbracatura per le bestie da tiro.

Nello stesso periodo si ha in Italia un’evoluzione della cucina con una connotazione più netta delle varie tradizioni, ricette e abitudini alimentari regionali e di zona.
In questo periodo affinano la loro tipicità in particolare le cucine di Roma, Venezia, Genova, e poi Napoli, Milano, Firenze e Palermo –forse anche in funzione della notevole mole di documenti che lo certificano rispetto a quella molto più esigua, se non assente, rinvenuta nelle zone non urbane e di campagna, meno istruite e più interessate all’aspetto funzionale del cibo.
In questo periodo storico la cucina dei ricchi, pur diversa da regione a regione, è caratterizzata da grandi spiedi, dal miscuglio del dolce e del salato, da un’eccessiva presenza di erbe e spezie e da una mescolanza nei banchetti di carne e pesce.

Tra gli avvenimenti storici che più influenzano l’evoluzione della cucina sicuramente le Crociate -1096/1270- si distinguono. Sono infatti responsabili dell’arrivo, nei porti italiani, di sconosciuti prodotti: nuove spezie, zucchero, riso; ma un fattore forse più rilevante degli altri dal punto di vista antropologico è il maggior benessere ottenuto dal patriziato e dalla nascente borghesia cittadina che si arricchiscono, specie nelle città marinare e nei grandi porti e centri del nord, con le nuove possibilità offerte dal commercio.
Grazie dunque a maggiori disponibilità economiche migliora e si affina anche l’alimentazione, aumenta l’assortimento di frutta e ortaggi sui banchi dei mercati: si registra abbondanza di mele, fichi, uva, prugne, castagne, melograno, melone, albicocche, ciliegie, cotogne e pesche.
Vi è un notevole sviluppo anche nelle coltivazioni di frumento che permettono maggior presenza nelle case di pasta e pane. Il formaggio è a disposizione di tutti e, col XII° secolo, fanno il loro ingresso sulle tavole le primitive versioni del parmigiano e del montasio. Si trovano facilmente arringhe salate, gamberi di fiume, anguille, trote, ecc…

A partire dal 1200, nei liberi Comuni del centro-nord, situati all’incrocio delle strade commerciali più importanti, nonché centri dei grandi mercati, troviamo una grande abbondanza alimentare, che aumenterà come sopra detto al termine delle crociate, con le importazioni dall’oriente delle grandi navi dei genovesi, dei pisani e dei veneziani.
Le città, anche se attingevano molto dalle produzioni delle campagne circostanti, erano strutturate per aver un minimo di autosufficienza alimentare: la maggior parte delle case possedeva un pollaio con conigliera, un orto, mentre oche e maiali, lasciati liberi, fungevano da spazzini.
L’alimentazione si basava sulla carne degli animali allevati, su pani e focacce –anche farcite di frutta- su formaggi ovini, vino frutta fresca e secca. Il grasso utilizzato per la cucina era prevalentemente quello di maiale, il cui allevamento continuava a costituire la prima fonte alimentare nelle campagne e la cui tradizioni è arrivata fino ai giorni nostri (è rituale l’uccisione del maiale a dicembre). L’olio d’oliva, raro e prezioso, a causa delle difficoltà nella coltivazione della pianta, era riservato a scopi terapeutici e religiosi.

I monaci con le loro attività di disbosco, coltivazione, allevamento, organizzazione di mercati e la manutenzione di strade, ponti e corsi d’acqua, diedero, in questo periodo storico, un forte impulso all’agricoltura, al commercio e all’economia.
Dall’anno 1300, con l’indizione dell’anno santo voluto da Papa Bonifacio VIII°, si assiste ad una crescente mobilitazione di pellegrini. I monaci benedettini, camaldolesi e cistercensi organizzarono la “ristorazione” dei pellegrini con un sistema capillare di locali d’accoglienza e spedali, ove già non vi fossero monasteri.
Sono stati rintracciati prontuari di diversi luoghi d’accoglienza, nel quale erano annotate le regole da seguire per il ristoro di pellegrini sani o malati: da questo si hanno indicazioni abbastanza chiare sulla cucina popolare del periodo in questione, che consisteva di zuppe di cereali e verdure, pane, formaggio, frutta fresca e secca e carne, principalmente ovina, anche se tendenzialmente molto rara.
Importantissimo il vino, ritenuto medicamentoso e indispensabile in un periodo in cui le sorgenti ed i corsi d’acqua erano spesso inquinate ed infettate.

Il valore medicamentoso degli alimenti e delle bevande è una delle preoccupazioni maggiori dell’epoca. Ciò ci viene attestato per esempio dal “Libro di casa Cerreti”, traduzione trecentesca di un precedente “Tacuinum Sanitatis in medicina”, desunto dalle pratiche mediche arabo-greche della Scuola Medica Salernitana, la più accreditata del periodo.
La salute è ideologicamente intesa come la risultante di un equilibrio ben preciso che si mantiene con l’uso e la combinazione particolare dei cibi e delle bevande.

Molto importante era stata la dominazione araba in Sicilia (dal VII° al X°secolo) con un notevole apporto di conoscenze scientifiche ed alimenti appartenenti alla cultura di questa popolazione: primo tra tutti lo zucchero di canna. Da qui deriva la tradizione di sciroppi e sorbetti –parole di origine araba- e pasta di marzapane. Inoltre gli arabi impiantarono coltivazioni d’agrumi, peperoni, melanzane e gelsi. Rintrodussero poi l’importazione e l’uso delle spezie, specialmente chiodi di garofano.

Il Medioevo è però stato avaro di documentazione in merito all’alimentazione che le diverse popolazioni seguivano. Tuttavia emergono alcune utili notizie oltre che da storici e scrittori (Paolo Diacono, Cronaca Novalesa, Eginardo, Liutprando di Cremona, Salimbene di Parma, Bonvesin de la Riva, G.B. Ramusio, Giovanni Boccaccio, Francesco Sacchetti, Alvise di Cà da Mosto, Michele Savonarola, ecc…) da uomini di chiesa ( S.Gregorio Magno, ecc…) appunto grazie alle vivaci attività dei monasteri che in quegli anni bui si impegnarono a tenere vive le arti e la cultura sotto molteplici aspetti.
Sulla fine del periodo vengono comunque redatti due importanti ricettari, tornati alla luce nell’ ‘800, attribuiti ad autori anonimi, uno toscano ed un veneziano, molto interessanti. Dipingono la ricchezza della cucina borghese e la gran varietà di piatti preparati, mentre, seguendo un copione già visto, la cucina popolare resta nell’ombra e deve accontentarsi quasi sempre di ciò che offre la natura.

Nel Basso Medioevo assume notevole importanza la lavorazione della pasta, destinata ad essere essiccata e conservata, nonchè dei ravioli. Entrambe le preparazioni erano cotte nel brodo, scolati e conditi col burro, formaggio, zucchero e cannella.
La lavorazione e il processo di produzione del Parmigiano assume importanza proprio in questo periodo.
La più illustre documentazione dell’epoca la ritroviamo tra le pagine del Decamerone di Giovanni Boccaccio; una raccolta di novelle del celebre scrittore toscano vissuto a cavallo del 1300, che ci descrive la ricetta sopra citata per pasta e ravioli in un brano del quale parla del famoso paese di Cuccagna ove si legano cani con le salsicce.
Alla fine del XIV° secolo, la cucina nobiliare comincia a distinguersi da quella popolare per due motivi: anzitutto, l’abitudini nelle corti della caccia col falcone, il passatempo più “chic” di dame e cavalieri, porta a preferire come cibo i volatili, perché –vivendo nel cielo- ritenuti gli animali di grado più elevato e quindi adatti agli uomini di alto rango; inoltre, lo zucchero, alimento molto costoso, diventa uno “status symbol”.
Esemplificativo, è l’episodio avvenuto nel 1468, in occasione delle nozze tra Lorenzo de’ Medici –il Magnifico- con Clarice Orini, nipote del Papa: per gli invitati importanti venne allestito un buffet tutto a base di dolci, confetture, marzapane, frutta candita e prodotti d’importazione. Per il popolo furono invece preparate grandi grigliate di carne di tutti i generi, ma sempre di animali di grande taglia.

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