giovedì 1 luglio 2010

storia della nascita e dell’evoluzione della pratica culinaria come disciplina - età moderna

Il passaggio da Medioevo ad Evo Moderno avviene con la scoperta dell’America il 12 ottobre del 1492; ma questa è una data riassuntiva, che poco influisce nell’immediato con i cambiamenti e gli sviluppi che questo enorme passo storico ha provocato nella cucina europea, ma soprattutto italiana col passare del tempo. Queste evoluzioni infatti, nella società e nella tecnica si manifesteranno e rispecchieranno con molta lentezza.
Fra i generi agroalimentari provenienti dal Nuovo Mondo che più hanno influito sul mutamento delle consuetudini nutritive vanno citati i fagioli, il mais, le zucche e zucchine, il peperone ed il peperoncino, il pomodoro, il cacao e le patate.
E’ inimmaginabile la cucina moderna senza questi prodotti, il cui impiego è però avvenuto con gradualità. Il fagiolo è il primo a diffondersi, cominciando da Roma, Firenze e alcune zone del bellunese.
Poi si registra l’esplosione dell’utilizzo del mais, chiamato dapprima “granturco”; a partire dalla seconda metà del ‘500, specie nel nordest e in pianura Padana, ma anche in altre zone d’Italia, viene coltivato sempre più intensivamente quando fu chiara la portata del suo valore alimentare: infatti con la farina di mais si ottenne un innovativo tipo di ottima polenta, e con la crusca si prepara un cibo molto nutriente per i maiali, ormai diffusi ed allevati con un notevole incremento delle possibilità alimentari. Il mais aiuterà molto la lotta alla fame, soprattutto nel Nord Italia, ma, proprio a causa del suo grande consumo –talvolta unico alimento nella dieta di intere famiglie- porterà a vere e proprie epidemie di pellagra in dati momenti storici nel Nord-Est italiano. Infatti le diete costituite prevalentemente dall’assunzione di granturco sono carenti di niacina e del suo precursore metabolico, il triptofano, che non consentono l’assimilazione di alcune vitamine essenziali la cui mancanza si manifesta con dermatite, diarrea e, in stati avanzati, demenza. Con i chicchi di mais si sfama poi pollame di ogni tipo, fra cui i tacchini, animali appena introdotti dall’oltreoceano.
Le patate invece ebbero maggiore difficoltà di attecchimento nei gusti e nelle diete; erano considerate cibo da maiali, in quanto tuberi -analoga sorte, in periodo medievale, era già toccata a funghi e tartufi.

A partire dal ‘600 la situazione agroalimentare delle regioni italiane è molto varia per tipologia e qualità di prodotti.
Se le fasce sociali più alte hanno sempre buona disponibilità di generi, non è altrettanto per gli strati più poveri della popolazione, per la quale il benessere –dal punto di vista nutrizionale- è aumentato ben poco nel corso dei secoli.
Si riporta, nelle case del popolo, un grande impiego di zuppe, poca pasta, poco riso –coltivato molto in Italia, soprattutto nella pianura padanoveneta, dal ‘500 in avanti-, pesce d’acqua dolce, rane, lumache, qualche animali da cortile, carne di maiale, molte erbe spontanee ed ortaggi, polenta e, qualche volta, pane. Per le popolazioni rivierasche moltissimo pesce di mare, crostacei e molluschi.
In funzione dei diversi contesti storico-socio-geografici, questa situazione conosce anche momenti positivi e di maggior abbondanza, ma generalmente, la fame accompagnerà gli italiani fino alla metà del XX° secolo, fino a quando il cosiddetto “miracolo economico”, permetterà a tutti, o quasi, di accedere “alla bistecca”.

Il riso, arrivato come spezia, cominciò ad esser coltivato nella Pianura Padana alla fine del 1400 nel novarese e vercellese.
Il cacao, di cui uno dei più grandi importatori fu il fiorentino Francesco Carletti, trovava utilizzo come elemento nella composizione di una bevanda, prima a base di acqua e poi di latte, che divenne ben presto appannaggio della nobiltà.
Nel secolo seguente, ad essa venne contrapposto il caffè, arrivato dalle colonie, come bevanda tipica della borghesia “attiva ed intellettuale”: tanto che le “botteghe del caffè”divennero luogo di ritrovo per artisti, pensatori e rivoluzionari, durante la Rivoluzione Francese e per tutto il 1800.
La cioccolata restò bevanda elitaria, connotandosi culturalmente come espressione delle classi più nobili. La tavoletta nacque in Svizzera sul finire del XIX° secolo, in seguito nasceranno scuole di cioccolateria anche in Olanda e a Torino, dove sarà prodotto come cioccolato Gianduia.

Nell’ambito dei cibi conservati, un ruolo importante è quello avuto da arringhe e stoccafissi salati. Questo tipo d’alimenti hanno salvato la popolazione europea dalla fame a partire dal Medioevo. Nel 1500 tra le classi più abbienti si usavano concentrati di brodo –utili nei lunghi viaggi- adatti al trasporto e, all’occorrenza, diluibili in acqua; questa ricetta arrivata ai giorni nostri è estremamente costosa e di lunga preparazione. Alla fine del secolo scorso, in svizzera, due industriali alimentari, Liebig e Maggi, riusciranno a preparare un prodotto analogo ma molto più accessibile economicamente.

A partire dal ‘400, molti gastronomi e cuochi illustri operanti nelle corti e nelle case signorili italiane scrivono e documentano molto del loro mestiere, con una conseguente abbondante produzione letteraria molto spesso pubblicata, consentendo ai posteri di conoscere la cucina praticata nelle diverse regioni nel corso degli ultimi cinque secoli.

Fra gli autori più significativi si ricorda Mastro Martino da Como, Bartolomeo Sacchi, Teofilo Folengo, Cristoforo da Messisbugo, Bartolomeo Scappi, Domenico Romoli, Vincenzo Cervio, Bartolomeo Stefani, Mattia Giegher, Vincenzo Corrado, Francesco Leonardi, Ippolito Cavalcanti, Giovanni Vialardi, GiovanFelice Luraschi, Vincenzo Agnolotti, Pellegrino Artusi.
Le loro opere sono specchio fedele dell’evoluzione della cucina nazionale italiana e dimostrano con chiarezza che non è mai esistita una cucina nazionale italiana, ma tante cucine locali che rappresentano di fatto la straordinaria ricchezza della gastronomia del nostro paese, che possiede un gran numero di piatti locali, sconosciuti ai più, di così gran bontà ed eleganza che meriterebbero un riconoscimento da parte della cucina internazionale.
Tra i gastronomi e scrittori di cucina, di cui abbiamo traccia a partire dal 1200, possiamo ricordare Caterina de’Medici (Firenze, 1519 – Blois, 1589): dopo l’infanzia trascorsa nella città natale, sposò nel 1533 Enrico II° Re di Francia. In dote, oltre ai consueti doni, porterà a Parigi i fagioli, già conosciuti nella Firenze di allora, il prezzemolo, la pasta secca e fresca, l’anatra cucinata con l’arancia, la carabaccia (zuppa di cipolle), zucchero e sale sbiancati. L’uso fiorentino di sbiancare lo zucchero era ritenuto il migliore, al punto che la Regina d’Inghilterra Elisabetta I° convocherà un esperto fiorentino a corte per affidargli la direzione di tale attività.
Caterina introdurrà anche crespelle e dolci a base di pasta di mandorle: la sua corte, oltre che da dame e paggi, sarà costituita da un gran numero di cuochi, pasticceri e rosticceri.
Tra le abitudini della raffinata Corte Granducale fiorentina, fu introdotta anche quella della preparazione di gelati e sorbetti. Dentro Palazzo Pitti, a Firenze, si trovano enormi ghiacciaie, progettate dal grande architetto Buontalenti.
Questo evento si rivelò cruciale tra gli eventi che determinarono la nascita della cucina, più nello specifico la nascita della cucina francese che trovò qui l’inizio del suo cammino. I cuochi e i pasticceri che la seguirono fecero scuola; questo fatto fu ammesso dagli stessi francesi e Flammarion scrisse: "Dobbiamo riconoscere che i cuochi italiani che vennero in Francia al seguito di Caterina de' Medici all'epoca del suo matrimonio con Enrico II, furono all'origine della cucina francese, per gli elementi e i condimenti, per noi nuovi, che essi portarono e da cui gli chef di francia (La Varenne, De Masseliet, Valet, De La Chapelle, Carême, Escoffier) s'ispireranno così bene che non tarderanno a surclassare i loro iniziatori".[…]
Nella Francia dell’epoca dei Lumi, nei primi decenni del ‘700, fiancheggiata da un vivace dibattito scientifico e filosofico, si registrò una riforma della cucina che, nel giro di un cinquantennio, vide estinguersi la civiltà gastronomica come prima era intesa –ancora ancorata a regole e dogmi propri dell’età medievale- e la nascita della cuisine moderne –o cucina borghese.
Ciò che si verificò fu un cambiamento radicale non tanto nella dieta e nelle tecniche di cottura, quanto più propriamente del gusto: la cucina delle carni, delle spezie, dei sapori forti, ibridi e artificiosi fu spazzata via da una cucina che scoprì gli alimenti freschi. Si sostituì al gusto per il “lungamente cotto e sofisticato” il gusto dell’“appena trasformato e naturale”; i riscoprirono verdure, erbe aromatiche, confini netti dei sapori e salse delicate.
Nel 1745, con la pubblicazione della Cousiniere bourgeoise di Menon, all’aggettivo “moderno” si affianca l’aggettivo “borghese”. Il termine, per la verità, non era ignoto al lessico gastronomico di allora in Francia, ma mentre in precedenza la “cucina borghese” era interpretata come una cucina di paese, regionale e un po’ rozza, ora questa terminologia è caricata di significati polemici nei confronti della declinante cucina di nobiltà.

Pellegrino Artusi, sul finire del secolo scorso, pubblicò il più rinomato libro di cucina nell’antologia italiana: “L’arte di mangiar bene” che riunisce le principali ricette regionali e le avvicina sotto la bandiera del Regno d’Italia. Nel manuale –come in altre opere dell’epoca- l’aggettivo “economico” sostituisce quello “borghese” ma ne è velatamente sinonimo; rimanda ad un etica alimentare e culinaria che rifiuta “sprechi, splendori insoliti e stravaganze” (come annotato da Piero Camporesi nella prefazione della ristampa dell’Artusi), in nome di una cucina semplice ma saporita, non fine ma equilibrata, ragionevolmente sana, pratica e oculata; dimenticante del damma della sottoalimentazione delle masse popolari è anzi dichiaratamente classista (“s’intenda bene”, precisa Pellegrino Artusi, “che io in questo scritto parlo alle classi agiate”).
Questo volume è validissimo per la conoscenza della cucina da famigli “ricca”, non solo nel ‘800 ma anche nel primo ‘900. Molto interessanti sono anche le nozioni di igiene che l’autore inserisce nell’introduzione. Vi è anche spazio nel testo per una presa di posizione contro le donne “pallide e diafane”, “di complessione nervosa”, con la preferenza assoluta di quelle “di prosperosa salute, le belle carnagioni tutto sangue e latte, le cicce sode”.
Sia per i grandi mutamenti storici che per le migliorie introdotte a livello tecnologico, il XX° secolo ha trasformato la società e con essa la cucina. La nascita dell’automobile consentì un più rapido spostamento per le persone e per le merci, ergo una diffusione più capillare dei prodotti agroalimentari su tutto il territorio, anche laddove prima era impensabile pretenderli freschi per motivi di tempo e costi. Nel 1900 esce la prima “Guida Michelin”, una pubblicazione nata in Francia, che puntava ad offrire ad i primi automobilisti gastronomi un prospetto di tutti i ristoranti di qualità presenti sul territorio. Più limitato rispetto alla Francia, anche in Italia si sviluppa un simile fenomeno; questo i viene testimoniato dalle varie pubblicazioni del periodo.

Bibliografia e sitografia - http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/bibliografia-e-sitografia.html

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