martedì 22 giugno 2010

il gusto

Ciò che in passato ho scoperto con piacere è che il bello del settore di cui mi interesso è che non ha limiti... di nessun genere... l'alimentazione, la cucina, il food & beverage sono ovunque intorno a noi. La compra/vendita, la lavorazione o l'implemento di servizi al consumo ci circondano in tutte le fasi della nostra giornata.
Oltre alla parte artigiana di mano d'opera del cuoco vi sono una miriade di occupazioni a cui ci si può interessare in relazione col cibo; siano queste amministrative, scientifiche, umanistiche, nel settore economico, nell'organizzazione di eventi, ecc...
In virtù di questo, ormai cinque anni fa ho deciso di non concludere la carriera scolastica all'istituto alberghiero ma di continuare a studiare in questo senso.

Il corso triennale in scienze gastronomiche mi ha dato modo di affrontare e approfondire moltissimi insegnamenti tutti strettamente correlati al cibo.
Durante questo periodo, oltre ai più canonici studi strettamente legati alla materia, ho approfondito anche punti di vista più filosofici e profondi:
il concetto di "gusto" è sicuramente tra i temi più interessanti che si possano indagare con minuzia.

Definire il gusto non è semplice:
nel corso dei millenni, l’evoluzione umana e culturale ha portato con sè una conseguente evoluzione del gusto.

Il gusto: assunto di partenza, termine che diamo per palesato, fin dalla più tenera età ci si trova a dovercisi relazionare quotidianamente nel mangiare, nel bere, nell’annusare… ma sappiamo davvero di quello che stiamo parlando? Si conosce davvero il significato del termine “gusto”? onnipresente nei nostri discorsi e confronti, si tratti di moda o di arte, di arredo o musica, di aromi, fragranze o pietanze, il gusto ha dietro di sé una storia complessa, e per secoli è stato al centro del dibattito estetico proprio perché direttamente vincolato, simbiotico e discendente alla materia estetica.
Facoltà intermedia tra i sensi e l’intelletto, erede e concorrente del giudizio, espressione di un conoscere che diletta e di un diletto che accresce la conoscenza, il concetto di gusto si rivela, nonappena se ne seguono le vicende, ambiguo e sfuggente. Ricostruirne il cammino non è solo una sfida per la storia delle idee, ma anche un compito al quale la storiografia estetica non può sottrarsi, perché le vie attraverso le quali ha preso forma il concetto di gusto sono in gran parte le stesse che hanno portato alla nascita dell’estetica moderna. Si potrebbe edificare un lungo discorso sulla nascita e i sentieri su cui il gusto contemporaneo si è andato via via caratterizzando nella storia (i primi precorrimenti, il sorgere del concetto in Spagna e in Italia, fino alla grande voga nella Francia, nella Germania e nell’Inghilterra del Settecento) ma non è questa la finalità ricercata in questo lavoro.
Il gusto come l’estetica non ha l’unica –un po’ superficiale- accezione che le persone comunemente tendono ad attribuirgli nel linguaggio di tutti i giorni.
La filosofia spende parole, dedica pensieri, libri interi per teorizzare e connotare precisamente questo termine:

Thomas Reid nella sua opera “Essays on the Intellectual Powers of Man” (1785).
“Chiamasi gusto quel potere della mente che ci fa discernere e apprezzare le bellezze della natura e quanto di perfetto vi è nelle belle arti.
Il senso esterno del gusto, mediante cui distinguiamo e assaporiamo i diversi generi del cibo, ha occasionato un’applicazione metaforica di questo termine al potere interno della mente che ci fa percepire ciò che è bello e ciò che, invece, è deforme o difettoso negli oggetti che contempliamo. Come a quello del palato, così a questo gusto [mentale] piacciono alcune cose mentre altre ripugnano; rispetto a molte esso è indifferente o incerto, ed inoltre è notevolmente influenzato dalle abitudini, dalle associazioni e dalle opinioni. Tali ovvie analogie tra il gusto esterno e quello interno hanno indotto gli uomini, in tutte le epoche e in tutte o quasi le nazioni progredite, a dare il nome del senso esterno al potere di discernere, provandone piacere, ciò che è bello e, provandone invece disgusto, ciò che è brutto o imperfetto nel suo genere.
Nel senso esterno del gusto, la ragione e la riflessione ci portano a distinguere fra la sensazione gradevole che proviamo e la qualità che, nell’oggetto, produce quella sensazione. Entrambe sono chiamate con lo stesso nome, e in conseguenza di ciò sono suscettibili di essere confuse l’una con l’altra non solo dalla gente incolta ma anche dai filosofi. La sensazione che provo gustando un cibo saporito sta nella mia mente, ma nel cibo esiste una qualità reale che è la causa di quella sensazione. Se uno stesso termine designa le due cose, ciò non dipende da qualche somiglianza nella loro natura, bensì dal fatto che una è il segno dell’altra, ed inoltre perché nella vita quotidiana si ha poche occasioni di distinguerle.
Il gusto del palato può definirsi giusto ed esatto quando ci fa assaporare cose adatte al nutrimento del corpo facendosi provare invece disgusto per quelle di natura opposta. Chiaramente, l’intento della natura, nel darci questo senso, era che potessimo distinguere quali cibi dobbiamo mangiare e quali bevande bere. Nella scelta del cibo, gli animali bruti sono guidati soltanto dal gusto, e così guidati scelgono proprio quel cibo che la natura a destinato loro, sbagliandosi di rado e solo se tormentati dalla fame o ingannati da prodotti artificiali. Analogamente, dobbiamo ritenere esatto e giusto il nostro gusto interno quando ci piacciono le cose che nel loro genere sono le più perfette, e ci dispiacciono invece le altre. L’intento della natura non è meno evidente nel gusto interno di quanto lo sia nel gusto esterno. Ogni perfezione ha una bellezza e un fascino reali che ne fanno un oggetto gradevole per coloro che sono dotati della facoltà di discernere la sua bellezza; e questa facoltà è ciò che chiamiamo buon gusto.
Tanto sul gusto esterno quanto su quello interno gli usi e costumi, la fantasia e le associazioni casuali delle idee esercitano una forza assai grande. Gli abitanti della Kamciatka si nutrono di pesce marcio e a volte addirittura sono costretti a mangiare la corteccia degli alberi. Ad alcune persone il sapore del rum o del tè verde sembra dapprima nauseante, ma dopo un po’, con l’abitudine, quelle stesse persone finiscono per trovare gustoso ciò che all’inizio trovavano sgradevole. Dopo aver constatato una simile varietà di gusti del palato prodotti da usi e costumi, dalle associazioni di idee, e alcuni forse dalla stesa costituzione degli individui, ci sorprenderemo meno a vedere che le medesime cause producono un’analoga varietà nei gusti del bello: gli africani apprezzano labbra grosse e nasi piatti, altri popoli si stirano le orecchie fino a farsele pendere sulle spalle, in un paese le donne si dipingono il volto e in un altro se lo lustrano col grasso”.

Rudolf Arnheim nella sua opera “La parabola del gusto” (1989).
“Forse la parola gusto, nel senso figurato del termine, deriva dalla sensazione propria del palato, perché il senso del gusto privilegia la soggettività di ciò che è gradevole o repellente e perché, più di ogni altro, riguarda ciò che attiene alla persona essendo i suoi simboli cose realmente introdotte nel corpo, e non che vengono solo toccate dall’esterno o che sono sentite come qualcosa che sta da qualche parte, nelle vicinanze. La lingua e il naso sono i guardiani dell’accesso. […]
quando parlo di estetica evito la parola gusto, perché il suo uso incoraggia un gioco delle tre carte verbale in cui si spacciano per verità oggettive le proprie preferenze, mentre viene contemporaneamente attenuata l’assolutezza dei propri giudizi, facendoli apparire come personali. L’“uomo di gusto” è chiaramente un individuo in cui per armonia prestabilita il piacetre personale coincide con il bene supremo. Non c’è maniera migliore di falsare un problema”.

Alla luce di questi estratti di antologia del gusto, di date considerazioni e conclusioni si evince che il gusto è un concetto frutto di una formazione culturale che ha manifestazioni diverse, talvolta opposte, a seconda delle società in cui questo è considerato e analizzato. Un esempio lampante, che permette di chiarire l’affermazione qui sopra, è che una multinazionale in campo alimentare quale Coca Cola cambi il suo sapore in funzione dei paesi in cui è venduta. Il gusto, inteso come formazione generale di sensibilità al brutto o al bello, al buono o al cattivo, all’estetico e all’antiestetico, cambia in funzione delle società e delle culture. Le esperienze, i contesti naturali, geografici e meteorologici portano negli anni, nei secoli ad assunti diversi nella formazione del gusto comune nelle etnie umane.

Bibliografia e sitorafia - http://eugeenblog.blogspot.com/2010/06/bibliografia-e-sitografia.html

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