giovedì 1 luglio 2010

disturbi del comportamento alimentare e drunkoressia

Va qui ricordato che errori estetici di caratteremondano, dei quali tutte le donne sono schiave, possono indurle a voler restare obeseper essere in linea con la moda. Non c'è dubbio che, per avere un décolleté vistoso, ogni donna si sente obbligata ad avere depositi di adipe intorno al collo, sulle clavicole e nelle mammelle. Ma il fatto è che il grasso si accumula in quelle regionicon grande difficoltà (...) e possiamo essere sicuri che addome, fianchi ed estremità inferiori sono di una grassezza spaventosa. Quanto alla terapia, non è possibile ottenere lariduzione della pancia senza che la paziente si rassegnia sacrificare la parte superiore del suo corpo. Per lei è un vero sacrificio, poiché rinuncia a ciòche il mondo considera bello.
Heckel F., "Les grandes et petites obésités", 1911

Questa citazione riportata da un testo del 1911 da diversi spunti di riflessione, prima tra tutti, l’idea di come il concetto di bellezza evolva e si trasformi in relazione alle mode, al tempo e alla cultura.
Nel passato, in tempi di difficoltà economiche ed alimentari, il modello di bellezza stereotipato era quello della donna in carne, perché esprimeva salute, benessere e fecondità. Ma durante il corso del ventesimo secolo questo modello è lentamente mutato di passo al progresso, passando per l’ideale di bellezza femminile degli anni ’50, già molto diverso da quello dei primi del ‘900, per arrivare ad l’ideale di bellezza fisica che ci è oggi proposto dai media.

L’idealizzazione del corpo perfetto
Da sempre il corpo rappresenta un campo privilegiato di indagine, autoriflessione ed analisi. Attraverso l'accettazione del prorpio corpo si sviluppano infatti durante la fase adolescenziale l'autoconoscenza e l'autoaccettazione, determinanti per una piena e positiva maturità.
Intorno al corpo si concentrano credenze, pregiudizi, falsi miti, che storicamente sono stati responsabili dell'atteggiamento culturale di popoli e epoche. Il corpo possiede caratteristiche peculiari che lo rendono facilmente oggetto di considerazioni, critiche e influenze culturali: in primo luogo è nostro tramite immediato nel contatto con il mondo, facilmente visibile e prima parte di noi ad essere conosciuta dagli altri; in secondo luogo si modifica visibilmente e costantemente durante la nostra vita, rendendo pubbliche quelle fasi di cambiamento estreme che ci conducono dalla nascita, all'infanzia, all'adolescenza, fino all'età adulta e alla vecchiaia.

Il corpo visto lungo un continuum è dunque la rappresentazione esterna dei cambiamenti umani, comune a tutti gli individui, e per questo immediatamente riconosciuto e condiviso come naturale ed "ovvio".

La superficiale familiarità che ognuno di noi ritiene di avere col proprio e altrui corpo fa sì che risulti perfettamente naturale, soprattutto nella nostra cultura, avere da un lato, un modello di riferimento "ideale" di bellezza caratterizzato da canoni rigidi e immodificabili, che prescindono dal naturale processo bio-fisiologico di crescita, dall'altro la convinzione di poter controllare, modificare, cancellare e ricostruire ciò che del corpo non ci piace, in ogni momento e in ogni situazione.

L'appartenenza alla cultura occidentale determina di per sè l'adozione spesso inconsapevole ed acritica dei modelli proposti attraverso la capillare diffusione di simboli di bellezza "ideale", associati ad "appetitosi" richiami quali ricchezza, potere, felicità, benessere, appartenenza ad una speciale elite e via discorrendo.

La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere gli stereotipi ben noti su corpo e immagine. La cultura mediatica facilita e sveltisce la diffusione di messaggi ambivalenti e spesso contrastanti intorno ai temi del benessere, della salute e dell'aspetto fisico ideale. Se da un lato la pubblicità e la televisione diffondono come ideale un'immagine corporea magra e essenziale per la donna, tonica e asciutta per l'uomo, dall'altro la lotta al "grasso" in quanto tale è incalzante ed incessante, creando un vero e proprio fenomeno di stigmatizzazione. Al tempo stesso grande risalto viene dato al consumo di snacks, pasti pronti, dolciumi industriali, alcolici, di per sè promotori di una condizione di sovrappeso.

I soggetti più sensibili a tale influenza sono gli adolescenti ed i giovani in genere, che cercano la conferma della loro identità individuale mediante il riconoscimento nell'altro.

Anche se i fattori culturali da soli non sembrano in grado di provocare un disturbo alimentare giocano un ruolo fondamentale se accompagnati da fattori individuali come bassa autostima, tendenza al perfezionismo e al controllo. Numerosi studi mettono inoltre in relazione la comparsa di DCA (soprattutto obesità e disturbo da alimentazione incontrollata) con ripetute prese in giro da parte dei coetanei e dei famililari durante l'infanzia e l'adolescenza, ipercriticismo su alimentazione e aspetto fisico, tendenza familiare alla restrizione alimentare. Riflettendo su questi dati è facile notare che un modello culturale rigido rispetto a bellezza e peso corporeo si traduce in criticismo e prese in giro, che determinano un indebolimento dell'autostima e/o un'esigenza di ipercontrollo, fattori spesso in grado di slatentizzare un disturbo alimentare.

La bellezza moderna
Nel corso dei secoli si sono succedute mode diverse, con l'alternarsi ciclico di magrezza, opulenza, o franca obesità come canoni estetici di riferimento. Da sempre gli sforzi compiuti dalla società per adeguarsi sono stati notevoli ed appannaggio quasi esclusivo del sesso femminile.

Nell'ultimo trentennio è andata affermandosi la magrezza femminile come ideale sia estetico che morale, poiché al corpo esile e scattante sono stati attribuiti valori quali ambizione, organizzazione, potere, autoaffermazione sociale, prima nei paesi occidentali poi in tutti i paesi raggiunti dalla nuova tipologia femminile. Tale tipologia risulta essere un mosaico di valori e aspettative culturalmente attribuiti nelle società passate al genere maschile, e risulta impoverita di tratti femminili precedentemente ritenuti classici (aspetto materno, docilità, sottomissione, accudimento, ecc..).

L'affermazione del nuovo ideale estetico ha dunque simboleggiato un importante cambiamento nel ruolo della donna all'interno della società e questa situazione ha promosso la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare.

I modelli estetici femminili attualmente ritenuti ideali sono noti anche alle bambine in età prepubere e vengono da queste considerati un normale modello da seguire, conforme al proprio tempo e alla propria società; spesso le bambine se interrogate in merito esprimono paura del grasso nonché il desiderio di iniziare una dieta, così come tendono ad assimilare più facilmente i comportamenti ed i pensieri relativi alla dieta e all'immagine corporea diffusi continuamente dai media e/o adottati dai familiari. La dieta (leggi: controllo sul corpo e modifica della propria immagine) risulta spesso essere il primum movens nella genesi di un disturbo alimentare: le adolescenti che si sottopongono a regimi alimentari restrittivi presentano un elevatissimo rischio di sviluppare un disturbo alimentare, fino a 18 volte maggiore rispetto a coetanee che non seguono una dieta.

È stato inoltre dimostrato che il confronto fra il proprio aspetto e quello di modelli stereotipati di bellezza rappresentati da top model o fotomodelle ritratte sui giornali provoca una diminuzione del tono dell'umore nella maggioranza di soggetti di sesso femminile. Le adolescenti in particolare riferiscono di essere influenzate dai giornali nella scelta del loro ideale di bellezza, nel pensare di mettersi a dieta o nel provare a perdere peso. Ci sono inoltre relazioni strette fra lettura di riviste e inizio di una dieta dimagrante o di un programma di esercizio quotidiano: chi legge più riviste appare più incline a cimentarsi in programmi di dieta o di esercizio.

Questi dati impongono serie riflessioni sui rapporti tra individuo e media come potenziali fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare.

Innanzitutto è da segnalare il gran numero di riviste femminili il cui target specifico è rappresentato dalle giovani adolescenti, che pubblicano in ogni numero decine di pagine dedicate ad aspetto e forma fisica, elargendo a piene mani consigli su come effettuare una dieta dimagrante dai risultati strepitosi o su cosa fare per migliorare la propria immagine.

Il confronto con i media esaspera la naturale tendenza degli adolescenti a sperimentare cambiamenti sfidando se stessi ed i modelli rappresentati dai genitori, nel tentativo di raggiungere un equilibrio interiore ed una maggiore accettazione di sé.

Se si aggiungono il desiderio di identificazione con i propri coetanei ed il continuo confronto - raffronto con le figure genitoriali e con il mondo esterno, non è difficile capire come quasi il 50% delle adolescenti voglia somigliare a tutti i costi (dieta, esercizio fisico strenuo, chirurgia estetica) ai modelli proposti dai media, favorendo decisamente lo sviluppo di disturbi alimentari subclinici e ponendosi a notevole rischio di sviluppare veri e propri disturbi del comportamento alimentare.

I Disturbi del Comportamento Alimentare
L'identificazione dell'anoressia nervosa come entità clinica a sé stante risale al 1873. In quell'anno due medici, l'inglese Gull e il francese Lasègue, partendo da esperienze ed osservazioni differenti approdarono alla medesima conclusione studiando un certo numero di giovani donne che inesorabilmente e a dispetto di qualsiasi tentativo di terapia cessavano di alimentarsi, sopravvivevano per un certo periodo in stato di inedia ed infine morivano.

Ecco la prima descrizione dell'anoressia nervosa, pubblicata da Gull su Lancet nel numero di Agosto del 1868:
"Le persone colpite da questa affezione appartengono in gran parte, al sesso femminile e sono principalmente di età compresa fra i 16 ed i 23 anni. L'ho saltuariamente riscontrata fra i maschi della stessa età. La signorina A.: età 17 anni [...] aveva perso 15 kg. All'epoca pesava 37 kg. Altezza 1,65. Amenorrea da circa 1 anno [...] Anoressia completa per i cibi animali e quasi completa per qualsiasi altro cibo [...] La paziente non lamentava alcun dolore, ma era irrequieta e attiva."

Le basi per lo studio di questo disturbo sono state gettate quasi 140 anni fa, e da allora si è andato delineando sempre più l'ampio spettro dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), in cui si includono oggi quelle patologie caratterizzate da un'alterazione del comportamento alimentare, e da una alterata percezione della propria immagine corporea.

Nell'ambito dei DCA è spesso possibile individuare forme subcliniche e la ricerca si sta indirizzando verso lo studio dei fattori predisponenti, dei fattori di rischio e delle fasi iniziali di malattia.

La mortalità di questi disturbi è piuttosto elevata (considerando che ne sono colpiti ragazze e ragazzi di giovane età) e varia nell'anoressia dal 5% al 18%, mentre è intorno al 7% per la bulimia.

Definizione e criteri diagnostici
I disturbi del comportamento alimentare costituiscono l'insieme di tutte le sindromi psichiatriche che si manifestano attraverso un comportamento alimentare disturbato.

All'interno di questa definizione sono racchiusi tre tipi di patologie:
Anoressia nervosa (AN)
Bulimia nervosa (BN)
Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCAnas).

Nelle pagine sui singoli disturbi, sono riportati i criteri diagnostici proposti dal Manuale Statistico e Diagnostico per le Malattie Mentali dell'American Psychiatric Association (DSM-IV), attuale punto di riferimento per la diagnosi in Psichiatria.

Tali criteri sono stati sviluppati per permettere una corretta e omogena classificazione delle malattie mentali (in questo caso i Disturbi del Comportamento Alimentare) in tutto il mondo. Il loro utilizzo è prevalentemente statistico e classificativo. Molto più utile a livello clinico e terapeutico è un approccio che si basa sugli elementi psicopatologici caratteristici di ogni patologia.

È opportuno inoltre sottolineare che i disturbi del comportamento alimentare tendono a presentarsi all'esordio in modo eterogeneo, così come nel corso del tempo possono andare incontro a profonde modificazioni cliniche e psicopatologiche, responsabili di oscillazioni lungo un continuum sintomatologico estremamente ampio.

Molti studi evidenziano la tendenza all'instabilità diagnostica di questi disturbi e considerano gli attuali sistemi di classificazione insoddisfacenti rispetto alle esigenze del clinico.

Anoressia Nervosa
Il termine anoressia deriva dal greco e significa letteralmente mancanza di appetito. Questo termine è abbastanza improprio dato che le persone affette da Anoressia Nervosa non smettono mai di avere fame, ma hanno così tanta paura del cibo che negano lo stimolo della fame oppure tentano di ingannarlo (bevendo, ad esempio, notevoli quantità di acqua o mangiando grandi quantità di verdure o fibre).

L'Anoressia Nervosa è una patologia che ha come nucleo caratteristico un'estrema paura di aumentare di peso, una profonda sensazione di essere sovrappeso o francamente grassi (pur essendo spesso già molto magri o normopeso) e il continuo timore di perdere il controllo sul proprio peso, sul cibo e sul corpo.

Per questi motivi, i soggetti affetti da anoressia cercano di ridurre il più possibile l'assunzione del cibo, eliminano alcuni cibi che ritengono pericolosi per la linea e cercano in ogni modo di perdere peso o mantenere un sottopeso a volte anche estremo.

Bulimia Nervosa
Criteri diagnostici:
Il DSM-IV definisce la Bulimia Nervosa sulla base della presenza di
1.Abbuffate ricorrentiUn'abbuffata è caratterizzata dai seguenti criteri:
mangiare in un definito periodo di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;
sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (ad esempio sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si stia mangiando).
2.ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte a settimana, per tre mesi.

I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.

L'alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

Anche nell'ambito della BN si riconoscono due sottotipi:
3.con condotte di eliminazione: nell'episodio attuale di bulimia nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici e enteroclismi
4.senza condotte di eliminazione: nell'episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all'uso inappropriato di lassativi, diuretici e enteroclismi

Elementi psicopatologici
Le abbuffate sono vissute in genere con estrema vergogna e disagio e spesso sono seguite da strategie compensatorie per prevenire l'aumento di peso (vomito, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo).

I soggetti bulimici hanno spesso un peso normale ma sono costantemente preoccupati per il cibo, la forma e il peso corporei, si sentono spesso inadeguati ed estremamente sofferenti, anche perché provano una forte sensazione di vergogna relativa sia al loro corpo che alle loro perdite di controllo, che confessano con enorme sofferenza.

Il loro benessere e la loro autostima finiscono per essere costantemente e esclusivamente influenzati dai problemi relativi al cibo e alla paura di perdere il controllo. La sensazione peggiore provata da queste persone è l'incapacità di frenare l'impulso a compiere un'abbuffata, vale a dire la perdita di controllo. La vergogna che si associa a questi sintomi è così grande che molti pazienti riescono a condurre una vita apparentemente normale senza destare nei familiari o amici alcun sospetto, vivendo le loro perdite di controllo in segreto e solitudine.

È importante considerare che le abbuffate sono quasi sempre secondarie alla dieta estrema e al digiuno e tendono a scomparire con la normalizzazione dell'alimentazione. È dunque fondamentale che il soggetto possa lavorare con un'equipe di specialisti allo scopo di regolarizzare l'assunzione di cibo, dato che la diminuzione delle abbuffate provoca di per sé un aumento dell'autostima, una maggior fiducia nelle proprie capacità e la sensazione di poter in qualche modo combattere attivamente il disturbo.

Infatti un buon livello di nutrizione aumenta le risorse individuali per sostenere una psicoterapia, accorciando i tempi di cura.

I DCA non altrimenti specificati
Nella categoria Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCAnas) il DSM-IV include quei disturbi dell'alimentazione che non soddisfano completamente i criteri di alcun disturbo dell'alimentazione specifico, pur manifestandosi con quadri clinici significativi quanto a gravità e difficoltà di trattamento.

Come esempi clinici, vengono descritti:

  • Per il sesso femminile tutti i criteri dell'anoressia nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare.
  • Tutti i criteri dell'anoressia nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta nei limiti della norma.
  • Tutti i criteri della bulimia nervosa risultano soddisfatti tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a due episodi a settimana per tre mesi.
  • Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo.
    Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo (spitting).
  • Disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder, BED): ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatorie inappropriate tipiche della bulimia nervosa.

Inoltre, negli ultimi anni, sono state definite diverse patologie simili o con tratti vicini ad anoressia o bulimia ma da queste diverse:l’ortoressia (riconosciuta dalla medicina ufficiale come vero e proprio problema del comportamento alimentare) e drunkoressia (allo studio dei ricercatori ma non ancora ufficialmente riconosciuta),

L’ortoressia
L'ortoressia (dal greco orthos -corretto- e orexis -appetito-) è una forma di attenzione eccessiva alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche.

Può essere dovuta ad una paura, a volte maniacale, di ingrassare o di non essere in perfetta salute, e conduce proprio, di norma, a un risultato opposto con conseguenze negative sul sistema nervoso, avvertite con difficoltà dal soggetto colpito e in modo evidente da chi lo circonda.È classificata come disturbo dell'alimentazione, ma non ancora ufficialmente riconosciuta dal mondo psichiatrico e quindi non ancora presente nel manuale americano DSM.

È stata descritta per la prima volta da Steve Bratman nel 1997, dietologo che si autodefinisce ex-ortoressico e che ha formulato un questionario allo scopo di identificare questa psicopatologia.La psicoanalisi odierna tende a dare sempre più peso a questa forma di mania per le regole eccessive, rivolte in particolare al cibo, ritenendo che si stia diffondendo silenziosamente e coinvolga in maggior misura individui di sesso femminile.Sono stati riconosciuti diversi livelli di ortoressia, a partire da forme più lievi e transitorie fino ad arrivare a situazioni quasi maniacali, ma non sono stati ancora canonizzati in termini clinici.



Starving Themselves,
Cocktail in Hand,
dal New York Times del 2 marzo 2008:
All are dangerous variations on the eating disorders anorexia and bulimia, and have become buzzwords that are popping up on Web sites and blogs, on television and in newspaper articles. As celebrity magazines chronicle the glamorous and the suffering, therapists and a growing number of researchers are trying to treat and understand the conditions.
The latest entry in the lexicon of food-related ills is drunkorexia, shorthand for a disturbing blend of behaviors: self-imposed starvation or bingeing and purging, combined with alcohol abuse.
Drunkorexia is not an official medical term. But it hints at a troubling phenomenon in addiction and eating disorders. Among those who are described as drunkorexics are college-age binge drinkers, typically women, who starve all day to offset the calories in the alcohol they consume. The term is also associated with serious eating disorders, particularly bulimia, which often involve behavior like bingeing on food — and alcohol — and then purging.
Anorexics, because they severely restrict their calorie intake, tend to avoid alcohol. But some drink to calm down before eating or to ease the anxiety of having indulged in a meal. Others consume alcohol as their only sustenance. Still others use drugs like cocaine and methamphetamine to suppress their appetites.
“There are women who are afraid to put a grape in their mouth but have no problem drinking a beer,” said Douglas Bunnell, the director of outpatient clinical services for the Renfrew Center, based in Philadelphia.
The center, like a small but growing number of eating-disorder and addiction-treatment facilities, most on the West Coast, offers a dual focus on substance abuse and eating disorders.
Dr. Bunnell, the past president of the National Eating Disorders Association, said the obsession with being skinny and the social acceptance of drinking and using drugs — along with the sense, lately, that among celebrities, checking into rehab is almost a given, if not downright chic — are partly to blame.
“Both disorders are behaviors that are glorified and reinforced,” Dr. Bunnell said. “Binge drinking is almost cool and hip, and losing weight and being thin is a cultural imperative for young women in America. Mixing both is not surprising, and it has reached a tipping point in terms of public awareness.”
Psychologists say that eating disorders, like other addictions, are often rooted in the need to numb emotional pain with substances or the rush provided by bingeing and purging. The disorders are often driven by childhood trauma like sexual abuse, neglect and other sources of mental anguish.
Manorexia is the male version of anorexia. Orthorexia is an obsession with what is perceived as healthy food — eliminating fats and preservatives, for example. But people with this condition can dangerously deprive themselves of needed nutrients.
Diabulimia refers to diabetics who avoid taking insulin, which can cause weight gain, in order to control their weight. Despite the name, the disorder does not typically involve purging.
Binge Eating Disorder refers to obsessive overeating, especially of foods high in salt and sugar, that does not involve excessive exercise or purging to compensate for the high caloric intake.
Judy Van De Veen, 36, who lives in Gillette, N.J., became anorexic at 24. She said she starved herself, meting out small bites of low-calorie food for two months. Then she began bingeing and purging, throwing up entire boxes of cereal, whole pizzas and fast food from drive-throughs that sometimes cost her $80 a day.
She went into treatment, both inpatient and outpatient, for her eating disorder for several years in the late1990s, with mixed results. In 2001, still struggling with bulimia, she took up drinking. If she ate while drinking, she said, she would purge, but then consume more alcohol to make up for the loss, because she wanted to remain drunk.
Many bulimics who drink use alcohol to vomit, experts on eating disorders say, because liquid is easier to purge. They also tend to vomit because they often drink on empty stomachs.
“In the beginning of my eating disorder I wouldn’t touch alcohol because it is so high in calories,” said Ms. Van De Veen, who later found herself regularly hospitalized for dehydration. “But I have the disease of more: I just want more no matter what it is.”
Two years into her drinking problem, she joined a 12-step program. She spent the next two years in and out of six residential rehab programs, spending about $25,000 of her own money because she didn’t have health insurance. But none of the programs were equipped to address eating disorders, so she binged and purged and her eating disorder raged.
Ms. Van De Veen said she has been sober for three years, but is still struggling with bulimia. She now has a 14-month-old daughter, Cheyenne, and she said that her pregnancy and support groups had helped her make progress on her eating disorder.
“I had an excuse to eat,” she said of being pregnant. “I didn’t care and I loved it.”
But she said the temptation to binge and purge is haunting her again.
Trish, 27, who has had an eating disorder for the last 10 years, recently checked into Renfrew, her fifth stint in a treatment center or hospital.
Like Ms. Van De Veen, Trish, who agreed to be interviewed on the condition that only her first name be used to protect her privacy, struggled with anorexia first and then found alcohol. Before she was admitted to Renfrew, she said she was blacking out from lack of food and suffering from excruciating stomach pain.
Trish, a nurse who lives in Ohio and works with cardiac patients, said she would starve herself through her 8- or 12-hour shifts, staring at the clock and fixating on when she could have her first drink. Drinking, she said, relaxed her when she had to eat in front of other people, a huge source of stress.
“The alcohol is probably what kept any weight on me,” she said in an interview late last month at the Renfrew Center, which she entered on New Year’s Eve for eight weeks of treatment.
“Drinking helped me be less anxious,” she said. “It helped me be more of Trish. The two go together: If I drink more, I’m more into my eating disorder and vice versa.”
Studies show that binge drinking and alcohol abuse are on the rise among women, who are also more prone than men to eating disorders.
About 25 to 33 percent of bulimics also struggle with alcohol or drugs, according to a study published last year in the journal Biological Psychiatry. Between 20 and 25 percent of anorexics have substance abuse problems, the study found.
A growing number of researchers are examining the psychological and neurological links between eating disorders and substance abuse: Does eating a chocolate bar, or bingeing and purging, stimulate the same pleasure centers in the brain as drugs or alcohol?
Suzette M. Evans, a professor of clinical neuroscience at Columbia, recently began a study of the connection between bulimia and substance abuse, a field she said has been neglected.
“People are finally beginning to realize that food can function in the same way as drugs and alcohol,” Dr. Evans said.
As more patients seek treatment for both eating disorders and substance abuse, a complicated set of mixed messages can arise. The response to addiction is abstinence; but quitting food is not an option.
“We’re trying to get our patients to find effective behaviors and life skills,” said Dr. Kevin Wandler, the vice president for medical services at Remuda Ranch, which addresses both eating disorders and addiction at its facilities in Arizona and Virginia.
“Eating normally would be an effective behavior, but it’s easier to give up alcohol and drugs because you never need it again,” Dr. Wandler said. “If your drug is food, that’s a challenge.”
Trish left Renfrew on Feb. 22, after her second time in treatment there. She was determined, she said, to break her obsessions with weight, food and alcohol. Before she checked in, “I didn’t even have the energy to laugh,” she said. But as she prepared to go home, she had more hope than she has had in years.
“I will not live my life like this,” she said. “I’ve learned this time not to be ashamed. I want to love myself and I want to forgive myself.”


Suicidandosi di fame con il cocktail alla mano:
Anoressia e bulimia sono tutte pericolose derivazioni dei disturbi alimentari e sono diventate parole di uso quotidiano che spuntano su siti web, blog, televisione ed articoli di giornale. Mentre i giornali scandalistici passano agli annali questi stereotipi sempre di tendenza ma sempre sofferenti medici e sempre più ricercatori stanno cercando di capire e curare questa patologia.
L’ultima novità nel campo dei disturbi nei comportamenti alimentari è la drunkoressia, un termine che indica una vasta gamma di comportamenti disturbanti: una inedia autoimposta o un movida alcolica combinata a un successiva epurazione peristaltica.
La drunkoressia non è un termine medico ufficiale, ma nasconde un preoccupante disturbo alimentare che crea dipendenza. Tra coloro descritti come drunkoressici vi sono generalmente bevitori adolescenti da festa, generalmente donne, che patiscono la fame tutto il giorno per smaltire le calorie assimilate attraverso l’alcol assunto. Il termine è anche associato a seri disturbi alimentari, in particolare la bulimia, che spesso coinvolgono comportamenti come accanirsi sul cibo (e alcol) vomitandolo.
Chi soffre di anoressia poiché riduce fortemente l’apporto di calorie per farlo tende ad evitare l’alcol, ma alcuni devono per rilassarsi prima di mangiare o per ridurre l’ansia dopo il pasto.
Altri utilizzano l’alcol come unica fonte di sostentamento. Altri ancora utilizzano droghe come cocaina e meta-anfetamina per sopprimere l’appetito.
“Ci sono donne che hanno paura di mangiare un acino d’uva ma non hanno problemi a bere una birra.”dice Douglas Bunnell, il direttore dei servizi ospedialeri del Renfrew Center di Philadelphia.
Questo Centro, come un piccolo ma crescente numero di strutture che trattano disturbi alimentari e questo genere di dipendenze, prevalentemente sulla West Coast, offre un duplice aiuto per l’abuso di sostanze e i problemi relativi all’alimentazione.
Il Dott. Bunnell, ex presidente dell’Associazione Nazionale Disturbi Alimentari sostiene che l’ossessione e l’accettazione sociale del modello anoressico, c osì come l’abuso di alcol e droghe
-“e lo prova il fatto che tra le celebrità, frequentare le case di riabilitazione è diventato quasi chic”- sono entrambe da condannare.
“Entrambi i disturbi sono comportamenti che sono socialmente accettati e glorificati” sostiene il Dott. Bunnell “esagerare con l’alcol e cool e il perdere peso ed essere magre è un imperativo culturale per le giovani donne americane. Non è una sorpresa che queste problematiche si manifestino insieme ed è ormai diventato un fenomeno globalmente riconosciuto”.
Gli psicologi sostengono che i disturbi alimentari, come altre dipendenze, siano spesso radicati nella necessità di lenire un dolore emozionale con sostanze o sconvolgimenti fisici causati dal mangiare e vomitare. I disordini sono spesso riconducibili a traumi infantili come abusi sessuali, abbandono o altre fonti di sofferenze psicologiche.
La manoressia è la versione maschile dell’anoressia. L’ortoressia è un’ossessione per ciò che viene considerato come un cibo salutare, ad esempio eliminando grassi e conservanti. Ma le persone che soffrono di questo disturbo possono pericolosamente privarsi di sostanze nutrienti indispensabili.
La diabulimia affligge i diabetici che rifiutano di curarsi con l’insulina, che può causare obesità, allo scopo di controllare il proprio peso.
A dispetto del nome le persone che ne sono afflitte mangiano e poi vomitano.
Il disturbo alimentare compulsivo si riferisce a quelle persone che mangiano in maniera ossessiva, specialmente cibi ricchi di sali e zuccheri che non richiedono un eccessivo sforzo fisico per compensare l’elevata quantità di calorie assorbite.
Judy Van de Veen, 36 anni, vive a Gillette, nello stato di New York, divenne anoressica all’età di 24. Riferisce che si stava uccidendo di fame mangiando soltanto piccoli morsi di alimenti a basso contenuto calorico per più di due mesi. Poi cominciò mangiare e vomitare compulsivamente, spazzolando intere confezioni di cereali pizze giganti e cibo da fastfood che talvolta le costavano 80 dollari al giorno. Negli anni ’90 decise di farsi curare per il suo problema, stette in cura per diversi anni, prima in clinica poi con cure saltuarie, con risultati altalenanti. Nel 2001, mentre stava ancora combattendo con la bulimia ha cominciato a bere. Se mangiava mentre sui ubriacava, dice, sapeva che avrebbe vomitato, ma subito dopo avrebbe ricominciato a bere perché voleva rimanere ubriaca.
Molti bulimici che devono usano l’alcol per vomitare, riferiscono gli esperti, in quanto il liquido è più facile da rigettare. Inoltre tendono a vomitare perché spesso devono a stomaco vuoto.
“Al principio del mio disturbo alimentare, non mi azzardavo a toccare l’alcol per l’elevato contenuto calorico.” dice Miss Van de Veen, che fu poi ricoverata per disidratazione.
“Ma io avevo il disturbo dell’ancora: ne volevo semplicemente ancora, non importa di cosa.”
Dopo due anni che soffriva del problema dell’alcol, ha deciso di intraprendere un programma riabilitativo. Per i due anni successivi ha fatto dentro e fuori da sei programmi riabilitativi in clinica, spendendo più o meno 25mila dollari del proprio patrimonio non avendo un’ assicurazione sanitaria. Ma nessuno dei programmi frequentati era attrezzato per la cura dei disturbi alimentari così il problema si è soltanto aggravato.
Miss Van de Veen è ormai sobria da tre anni, ma sta ancora combattendo con la bulimia.
Oggi ha una figlia di quattordici mesi, Cheyenne, e riferisce che la gravidanza e i gruppi di supporto l’hanno enormemente aiutata per il suo problema.
“Adesso ho una scusa per mangiare, non me ne preoccupo e inoltre è per una cosa che amo.”
Nonostante tutto la tentazione del meccanismo bulimico la tormenta ancora.
Trish, 27 anni, che ha sofferto di disturbi alimentari per gli ultimi dieci, è recentemente stata ricov erata al Renfrew. Questo è il suo quinto tentativo di ricovero.
Come Miss Van de Veen, anche Trish, che ha accettato ad essere intervistata solo a condizione che non venisse rivelato il suo cognome per tutelare la propria privacy, ha prima combattuto con l’anoressia ed è poi caduta nell’alcol. Prima di essere ricoverata soffriva di svenimenti da carenza di cibo e lancinanti dolori allo stomaco.
Trish, che viveva Ohio e faceva l’infermiera nel reparto di cardiologia, riferisce che era capace di non mangiare per tutte le otto o dodici ore del suo turno, fissando l’orologio e desiderando soltanto il momento in cui avrebbe potuto bere il primo drink. Il bere, dice lei, l’aiutava a sostenere situazioni conviviali che erano per lei grande fonte di stress.
“L’alcol è probabilmente l’unica cosa che la teneva in piedi”ha detto in un intervista rilasciata il mese scorso al Renfrew Center dove è stata ricoverata poco dopo capodanno per otto settimane.
“L’alcol mi aiutava ad essere meno ansiosa” dice lei “e mi aiutava ad essere più me stessa.”
Le due cose erano sincroniche: con più bevevo, con più ricadevo nella mia ossessione e viceversa. Recenti studi dimostrano che il bere compulsivamente e l’abuso di alcolici sono in aumento tra le donne, più predisposte degli uomini ai disturbi relativi al cibo.
Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno sul giornale “Biological Psychiatry” il 33% dei bulimici, soffre anche di problemi di alcol o droghe, mentre il 25% degli anoressici hanno problemi di dipendenza da sostanze.
Un sempre più alto numero di ricercatori stanno studiando il legame psico-neurologico tra i disturbi alimentari e l’assunzione di sostanze: mangiare una barretta di cioccolato o mangiare e poi vomitare stimola gli stessi centri del piacere nel cervello di droghe e alcol?
Suzzette M.Evans, professoressa di neurologia all’Università della Colubia, ha recentemente cominciato una ricerca sulla relazione tra bulimia e abuso di sostanze, un campo secondo lei molto trascurato.
Mentre sempre più pazienti cercano aiuto per questo problema, contemporaneamente si sollevano diversi interrogativi: la soluzione per una dipendenza è l’astinenza; ma l’astinenza dal cibo non è un opzione.
“Stiamo cercando di far si che i nostri pazienti trovino comportamenti e esperienze reali” dice il Dott. Kevin Wlander, vice presidente dei servizi ospedalieri al Remuda Ranch dove cura entrambi i disturbi.
“Mangiare normalmente potrebbe essere un comportamento efficace, ma è più facile smettere l’alcol e le droghe perché non ne senti più il bisogno” dice il Dott Wlander “ma se la tua droga è il cibo il problema è molto più serio.”
Trish, ha lasciato Renfrew il 22 febbraio, dopo il suo secondo periodo di ricovero lì. Era determinata a smetterla con l’ossessione per peso, cibo e alcol. Prima di essere ricoverata, dice che non aveva nemmeno la forza di ridere. Ma adesso che si prepara ad andare a casa ha molta più speranza di quanto ne avesse negli anni passati.
“Non vivrò la mia vita così” dice ora “ Questa volta ho imparato a non vergognarmi. Voglio amare e rispettare me stessa. ”

La Drunkoressia
Il termine drunkoressia è stato inventato dai giornalisti del “New York Times” anche se non è ancora riconosciuto dalla medicina ufficiale. Il termine indica un nuovo anomalo e pericoloso comportamento alimentare diffuso fra le adolescenti: mangiare poco fino ad arrivare anche a digiunare per poter assumere forti quantità di alcolici.

Lo scopo di tale comportamento è duplice:
dimagrire e farsi accettare dal gruppo dei pari, in particolare i maschi la cui assunzione di alcolici è legata al divertimento ed alle emozioni. A tal riguardo, pare che i maschi siano particolarmente interessanti le ragazze che assumono comportamenti pericolosi e trasgressivi. La drunkoressia viene considerata una variante dell'anoressia, ben nota a tutti, ma con una variante di fondo: assumere alcolici, a differenza dell'anoressia, significa assumere calorie, quindi si rinuncia al cibo per poter bere maggiormente.

Vediamo le analogie con l'anoressia: rifiuto drastico del cibodiminuzione di pesouguali criteri diagnostici. Per quanto riguarda quest'ultimi è necessario rilevare se l'Indice di Massa Corporea (IMC) è calato sotto 17,5 e se è presente amenorrea. L'IMC si ottiene dividendo il peso in chili per il quadrato dell'altezza in metri. L'indice normale nelle donne è tra 19 e 24,5. La volontà di dimagrire non è fine a sé stessa come nell'anoressia ma è strumentale all'assunzione di alcol. Le ragazze possono non riuscire ad assumere alcolici quando hanno cibo nello stomaco, quindi digiunare è necessario per poter bere. Inoltre nell'anoressia per continuare a dimagrire è necessario mettere in atto altri comportamenti, dopo aver assunto piccole quantità di cibo, quali: autoinduzione del vomito, uso di lassativi, logorante attività fisica. Al contrario l'assunzione di alcol, grazie alla relativo introito di zuccheri, procura un senso di sazietà che permette di non avvertire la fame. Ma questa differenza è solo una motivazione iniziale. Successivamente la motivazione “drunkoressica” diventa motivazione “anoressica” in quanto dimagrire diventa lo scopo principale e ci si esalta dalla consapevolezza di poter vincere la fame.

I rischi della drunkoressia sono gli stessi dell'anoressia: osteoporosi, alterazioni cardiache, amenorrea. A quest'ultimi si aggiungono quelli derivante dal consumo di alcolici, specie se a digiuno: neuropatie, tremori, danni al fegato ed al cervello col tempo. Questa sintomatologia e acuita nel sesso femminile perché tende ad espellere l'alcol più lentamente del sesso maschile. In entrambi i sessi sono presenti tutte le conseguenze dell'assunzione di alcol in età adolescenziale quando lo sviluppo psicofisico è particolarmente vulnerabile. Nel momento in cui la drunkoressia raggiunge livelli d'allarme è necessario intervenire come con l'anoressia: terapia di riunitrizione, psicoterapie individuali e di gruppo, eventuali assunzioni di farmaci quando l'alcol è diventata una vera e propria dipendenza. Per attuare tutto ciò potrebbe rendersi necessario rivolgersi ad un centro per i disturbi del comportamento alimentare. Importante è la prevenzione: educare gli adolescenti alle conseguenze di un uso smodato di alcolici; combattere la cultura dello “sballo”, vale a dire divertimento possibile solo se associato a comportamenti trasgressivi.


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